Politica, la profonda delusione

ottobre 26, 2008


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Compito di chi ci guida é evitare che l’emergenza porti a un assetto economico piú blindato e meno trasparente

Il libro di Carlo De Benedetti e Federico Rampini va letto come un atto d’accusa contro una classe dirigente incapace di rimuovere gli ostacoli.

Caro Direttore,
martedì sera, alla presentazione di “Centomila punture di spillo”, il nuovo libro di mio fratello, non raccolsi il cenno con cui mi invitava a fare una domanda agli autori, perché quella che avevo in mente sarebbe stata interpretata come provocatoria, anziché volta a mettere in evidenza quello che secondo me è il nucleo generatore del libro: una profonda delusione per la politica.

Chi è il destinatario delle centomila punture di spillo? La domanda è l’inizio di un ragionamento che meglio si svolge sulla pagina scritta. La pongo con particolare riferimento all’ultimo capitolo del libro, quello in cui ritrovo intatti lo sguardo a 360°, la fantasia e la voglia di fare di Carlo De Benedetti imprenditore, da cui vengono le tante sue intuizioni anticipatorie, a cui sono dovuti i suoi successi e che illuminano anche le sue sconfitte. “Ci sono «riforme dal basso» – così inizia quel capitolo – che dipendono da noi, costano poco e non richiedono iter decisionali complessi, perché possono nascere dalla volontà civile o addirittura nei comportamenti individuali”.

È sicuramente utile prospettare agli imprenditori opportunità da cogliere, stimolarli a iniziative che, se condivise e diffuse, possono risolvere problemi con cui la politica si cimenta invano da anni, è da apprezzare chi, avendo l’autorevolezza per essere ascoltato, spende energie per mostrare prospettive nuove. Ma basta? Perché i nostri imprenditori non impiantano industrie nel Magreb, perché non organizzano corsi di formazione scientifica per i neo assunti come fanno i loro colleghi indiani, perchè non si attrezzano per volgere a proprio vantaggio la rivoluzione grigia, l’invecchiamento della popolazione? Il mercato contiene infinitamente più informazioni di quelle disponibili a qualunque osservatore esterno, la concorrenza tra imprenditori li spinge a scoprire le nicchie ecologiche in cui svilupparsi: utile prospettargliene della altre, ma bisogna chiedersi perché non lo fanno da soli. Se certe cose, che paiono vantaggiose, non avvengono, le ragioni possono essere di origine culturale, ma più sovente stanno in ostacoli eccessivi o in incentivi non adeguati. Se gli imprenditori di Treviso preferiscono andare a Timisoara anziché a Tunisi o al Cairo, potrà essere perché il rumeno è più facile dell’arabo, più probabilmente perché la parte d’Italia che proiettiamo verso il Magreb è essa stessa più un problema che una soluzione. Le “punture di spillo” sono la descrizione di cose che sono nel mondo, o l’esortazione a realizzarle? E in tal caso, gli imprenditori, in generale i cittadini, sono loro i destinatari delle punture di spillo?

Il libro termina con la rievocazione di quello che l’italiani seppero fare negli anni 50. Ma essi nel ’48 diedero la maggioranza assoluta alla DC, con De Gasperi c’erano Pella al Bilancio e Tesoro, Einaudi in Banca d’Italia, e le imposte erano al 25%. Allora, non ebbero bisogno di punture di spillo gli imprenditori italiani per ricostruire le fabbriche, né i contadini per andarvi a lavorare guadagnando poco di più di quando zappavano i campi.

L’ottimismo propositivo del libro racchiude una delusione profonda: quella di chi ha sempre nutrito una civile passione per la politica, di chi è presidente di un giornale con forte ispirazione politica, e che oggi propone un programma di “riforme dal basso”. C’è un abisso tra i voti dati a De Gasperi nel ’48 e il 70% di consensi oggi per Berlusconi: ma non si contrasta il leaderismo con il movimentismo, e la “società civile” non è un’alternativa al 30% dell’opposizione che ci ritroviamo.

Dobbiamo invece continuare a credere che la soluzione possa venire dalla politica. Una politica che rimuova gli ostacoli, che non distorca gli incentivi: sarà lo stesso mercato concorrenziale a scoprire le proprie direzioni di sviluppo. C’è il pericolo che il libro venga letto al rovescio, invece che come una serie di scenari per gli imprenditori che ci sono, come agenda per un’opposizione che non c’é. Sappiamo dove portano le lenzuolate.

Di questi tempi è forte il pericolo che la necessità di avere migliori regole porti a introdurre maggiori regole, che l’emergenza sia usata per permanenti spostamenti di potere, e che si finisca con un assetto economico diverso, ma ancora più intrecciato, più blindato, meno scalabile. Per questo è necessario ricordare a un’opposizione geneticamente predisposta all’interventismo, che bene pubblico primario è il libero funzionamento del mercato, che compito di un governo è rimuovere gli ostacoli che frustrano le iniziative degli operatori. Se la politica saprà farlo, per “tornare a correre” – come recita il sottotitolo – forse non saranno neppure necessarie le punture di spillo.

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