Si parla di Telecom, e c’è sempre qualcuno che, per una ragione o per l’altra, propone di venderne la rete: quella passiva, fatta di cunicoli e di ponti radio, di doppini e di fibra. È proprietà di Telecom, le è stata venduta al momento della privatizzazione, è il collateral dei debiti fatti per comprarla. È aperta ad altri operatori in condizioni di parità, contribuisce in modo essenziale al valore di Telecom: lo si è visto anche recentemente, l’interesse di Vivendi a diventarne socio importante era determinato, oltre che dalla partita brasiliana, dalla possibilità di avere un’alleanza stabile con l’unico operatore che copre tutto il Paese. Telecom inoltre è proprietaria della rete attiva, le apparecchiature elettroniche, i computer e i programmi software. Insieme, rete attiva e passiva, forniscono il servizio di tlc.
Una rete telefonica è intrinsecamente diversa dalle altre reti: quella elettrica è capace di produrre solo un monotono 50 Hz, e quanto a quella idrica, non hanno ancora inventato l’internet delle bollicine. Si avvicina di più quella ferroviaria. Con la differenza che qui la rete è davvero neutrale, e “i treni”, cioè le informazioni, appartengono alle imprese che le producono, gli algoritmi per accedervi a quelle che ne inventano sempre di nuovi: alle società di telecomunicazioni chiedono di renderle disponibili agli utenti, con velocità di trasmissione sempre maggiore.
Quanto maggiore? Con 4 Mbit/sec si fa praticamente tutto, internet, video ad alta definizione, formazione a distanza. Oggi Telecom offre 7 Mbit/sec quasi ovunque e 20 su circa la metà del territorio. Per sfruttare i 100 Mbit/sec delle nuove reti si dovrà aspettare la futura generazione della TV in 3D. La nuova Telecom, quella uscita dalla fortezza Maginot della Telco, ha ridotto stipendi e dividendi distribuiti, e sta investendo 9 miliardi di euro per allargare la banda a mezzo paese con la fibra e coprire l’80% col 4G entro il 2016.
A qualcuno non basta neppure questo. Ma l’accesso ultraveloce non è un diritto universale dell’uomo. Non c’è bisogno di essere NO-TAV per pensare che sarebbe uno spreco avere l’alta velocità ovunque; ogni capoluogo di (ex) Provincia ha voluto avere la sua Università, ma nelle classifiche voliamo basso. Oggi poi è tale la fame di investimenti che promettano di rendere, che il rischio è quello di sbagliarsi per eccesso: BreBeMi invita alla cautela.
Lo scorporo societario permetterebbe di fare più in fretta? Gli investimenti nella rete passiva e in quella attiva devono andare di conserva. Se facessero capo a due diversi proprietari, questi dovrebbero mettersi d’accordo sulle decisioni di investimento, condividere le valutazioni di redditività, concordare come spartirsi gli utili. Non sembra proprio la ricetta per accelerare.
Non è che in questo gran dibattito sulla rete, più che ragioni per venderla ci siano interessi a comperarla? La Cassa Depositi e Prestiti non ne fa mistero, interesse alla rete l’aveva manifestato nei momenti critici che aveva attraversato Telecom; l’ha ribadito quando l’azienda si è liberata dai soci ingombranti; adesso alza il tono, quasi fosse una colpa rifiutarsi di vendere.
CDP non nasconde la propria fiducia negli investimenti keynesiani – e scavare cunicoli ne è un esempio quasi da manuale -; considera suo compito istituzionale essere strumento di politiche pubbliche; ma è anche molto attenta alla redditività degli investimenti. Questo sarebbe davvero così interessante?
CDP già controlla Terna e Snam Rete Gas, attraverso F2i controlla Metroweb, se acquisisse Telecom Rete completerebbe la società delle reti: ma le “sinergie” della gestione congiunta delle tre tipologie di rete, se pur ci fossero, sarebbero del tutto marginali. Estenderebbe anche alla rete di telecomunicazioni la garanzia di italianità: ma porre vincoli al cambio di controllo riduce, non aumenta, il valore. Potrebbe quotare a sua volta anche la società delle reti, tenere la quota di controllo e far cassa con il resto: ma le scatole cinesi (pubbliche poi) non van più tanto di moda. E allora?
Allora, con il controllo delle reti, aggiunto a quello delle “aziende strategiche”, CDP riuscirebbe a completare la propria trasformazione da raccoglitore di risparmio per conto dello Stato a strumento a disposizione dei fautori delle “politiche industriali”. Ci sarà poi da offrire un ancoraggio pubblico alle municipalizzate da “privatizzare”, ci sarà da utilizzare la nostra parte di quei 300 mld € di investimenti promessi dall’Europa: tutte occasioni che non fan gola solo ai banchieri. Rotti, anche grazie alla “privatizzazione” delle Poste, i legami col passato, i suoi interlocutori sarebbero non più sindaci e assessori, ma i Renzi e gli Juncker. A quel punto CDP, da controllore di segmenti centrali dell’economia –sottratti all’iniziativa privata e al mercato– sarebbe riuscita a diventare un imprescindibile centro di potere e di condizionamento per la politica.
Dall’Ufficio Stampa di CDP al Sole24Ore (29 settembre 2014)
Nell’articolo “Perche’ la rete Telecom sta bene con Telecom” (Il Sole 24 ore di ieri) Franco Debenedetti svela finalmente il piano di Cassa depositi e prestiti: “Diventare un imprescindibile centro di potere e di condizionamento per la politica”. E’ per questo solo fine che CDP alzerebbe la voce per acquistare il controllo della rete di Telecom. Niente di piu’ falso. Il solo interesse di CDP, peraltro in tal senso da tempo sollecitata dal Governo e dal Parlamento e dagli stessi vertici delle maggiori TelCo, TI compresa, e’ di verificare se e’ utile un suo apporto di finanza o di equity all’ammodernamento della rete TLC del Paese. Vogliamo ricordare ai lettori che questo interesse nasce dalla mission di Cdp – sostenere la crescita del Paese – che deriva da una legge italiana, votata dal Parlamento. Non c’e’ crescita senza sviluppo delle infrastrutture, tangibili e intangibili. Non c’e’ crescita se su queste infrastrutture non si investe abbastanza e non c’e’ parita’ di accesso per tutti gli operatori. C’e’ un impegno che l’Italia ha preso in sede europea, di dare accesso alla banda ultralarga a >100 Mbs ad almeno metà della popolazione italiana entro il 2020.
Il Rapporto Caio ha accertato che gli attuali piani di investimento delle TelCo non consentono di centrare questo obiettivo. Se serve, CDP può dare una mano a accelerare gli investimenti necessari. Se Telecom o altri ce la fanno da soli, abbiamo detto e ripetuto che ne saremo ben lieti. In ogni caso.
Oggi la Commissione europea, quanto a penetrazione della banda larga, mette l’Italia al 28.mo posto su 28 Paesi dell’Unione. Forse non lo e’ per Debenedetti, ma per l’Italia e’ un problema.
È l’Europa che bisogna seguire, non la fantapolitica.
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Fa piacere sapere che la Cassa Depositi e Prestiti pensa, scrive e risponde come un sol uomo. Fa piacere apprendere che opera, come certifica l’Ufficio Stampa, sulla base di una precisa teoria economica: le infrastrutture (quali? dove? a che costi? con quali ricavi?) sono necessarie “per lo sviluppo”. E tanto basti.
F.D.
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