Chissà se nella riunione straordinaria del 23 aprile del Consiglio d’Europa per la “drammatica situazione nel Mediterraneo” si è parlato anche della sua straordinarietà. Sarebbe bastato guardare i numeri: nel periodo 2010-2014, mentre gli stranieri registrati nelle anagrafi comunali sono aumentati in misura modesta (20 per cento circa) e gli ospitati nei centri di accoglienza sono poco più che raddoppiati, coloro che sono sbarcati sulle coste italiane sono quasi 40 volte tanto. Per il 2015, l’aumento del 40 per cento registrato a tutto febbraio rispetto all’anno precedente, tenuto conto della stagionalità, lascia prevedere cifre inquietanti. La cifra del milione di persone che attendono di partire non è ancora una proiezione, ma non è più un’esagerazione. La drammatica differenza nei tassi di crescita indica che ci sono due tipologie di immigrazione, cioè che ai migranti “economici” si vanno progressivamente sostituendo i fuggitivi da guerre e sconvolgimenti politici. Dei 170 mila sbarcati nel 2014, 42.323 venivano dalla Siria, 34.329 dall’Eritrea, 9.908 dal Mali, 9 mila dalla Nigeria: l’aumento del flusso è tutto composto da persone che provengono da paesi devastati da crisi sanguinose.
Per Guido Rossi è il “dominio incontrastato del capitalismo nella globalizzazione” ad aver causato “enormi diseguaglianze tra i popoli e nei popoli”: può essere giusto o sbagliato in generale, ma nello specifico impedisce di capire la natura del fenomeno e quindi di approntare i mezzi per regolarlo. Pietro Valsecchi propone la costruzione di “grandi centri di accoglienza, luoghi di sviluppo di una nuova economia”: ma come impiantare artificialmente ciò che anarchie e terrorismo impediscono che sorga e si sviluppi naturalmente? C’è poi chi ci/si accusa per la grettezza di aiuti che, migliorando le condizioni di vita nei paesi d’origine, eliminerebbero in radice la spinta a lasciare tutto per cercare fortuna da noi: giusto o sbagliato, chi propone più aiuti dovrebbe considerare che le migrazioni politiche ne vanificano l’utilità: quelli che trovano la forza per partire sono i più intraprendenti, coraggiosi, capaci; se se ne vanno loro, diminuisce il capitale umano della parte che resta, regredisce la prospettiva di far fare un passo avanti all’economia locale e alle strutture amministrative e sociali. Altro che pattugliare una costa! Il fenomeno va contrastato là dove si origina. Le cause politiche richiedono una risposta politica, e questa presuppone una posizione politica: qual è quella dell’Europa? L’identità europea è democratica in politica, liberale in economia: è sufficiente affermarlo? Agli stati dell’est comunista, che cercavano il modo di uscire dal blocco sovietico, è bastato offrire la nostra identità come prospettiva. Ma con la Grecia non è bastato un severo ammaestramento; quando ai recalcitranti allievi è parso troppo severo, ad andare in crisi è stato il concetto di democrazia: può la democratica Europa non accettare le politiche di un governo democraticamente eletto? In Ucraina il governo le riforme vuole farle, ma senza un aiuto europeo rischia il default sul suo debito con la Russia, e quindi la perdita di un pezzo del suo territorio: con conseguenze geostrategiche per l’Europa immensamente più gravi dell’uscita della Grecia, che segnalerebbero al mondo l’incapacità di difendere i suoi interessi. E adesso con gli stati africani, tra governi corrotti, dittature sanguinarie, e l’Isis che avanza, basterà qualche nave in più qualche chilometro più in là?
Grecia, Ucraina, Africa, sono minacce per l’Europa, per il suo modello, democrazia in politica, liberale in economia: per farlo sopravvivere si dovrà esportarlo? Ci vorrà un trotzkismo europeo? Il problema dell’immigrazione politica pone un problema politico all’Europa, concentrata a far funzionare (?) il meccanismo all’interno dei suoi confini, a perfezionare (?) le procedure, a normare i comportamenti. Venere e non Marte, una forza tranquilla, coltiva il suo orticello, naturalmente Ogm-free: una stranezza offensiva per i paesi da cui partono i migranti, una stranezza incomprensibile per il trattato transatlantico Ttip che così deraglierà in nome dell’identità europea. L’Europa non è islamofoba, noi si sporca le mani col nation building, non usa i droni e i big data degli altri, preferisce non parlar troppo della Francia, la sola che ha mandato i suoi uomini per cercare di ritardare che il califfato conquisti il Mali.
Con la Grecia, una “crisi infinita”, verso la Russia “atteggiamenti discordanti”, di fronte alla migrazione il precipitare nella confusione, “in quasi tutto quello che fa, la Ue incontra la frustrazione dei suoi cittadini, il cinismo dei suoi governanti, il disprezzo, se non l’irrisione, del resto del mondo”: a dirlo è Mario Monti. La sola politica estera che riesce a perseguire è quella della concorrenza: contro i giganti americani, si chiamino General Electric o Microsoft, Honeywell o Google, l’Europa si erge come “uno dei difensori del libero mercato più formidabili al mondo”. Chiusa nella propria algida perfezione, lontana dai consumatori, dagli elettori, da quelli che ci sono, da quelli che premono per entrarci, di fronte ai barconi di chi fugge dai governi dei loro paesi, l’Europa chiama i governanti dei suoi paesi a una straordinaria riunione.
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maggio 6, 2015