Perchè Enel va privatizzata

novembre 2, 1998


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Ancora una volta, la sinistra si trova alle prese con la questione elet­t rica. Oggi, sul futuro assetto del mercato dell’energia, è polemica tra Ministero e Autorità regolatrice. All’inizio del secolo, prima che Lenin dichiarasse l’elettrificazione elemento portante della rivolu­zione comunista, in Italia fu Nitti a proporre la nazionalizzazione; questa divenne poi la bandiera del primo centrosinistra. Trent’an­ni dopo si aprono prospettive di liberalizzazione: ed è alla sinistra, durante il Governo Dini, che si deve la legge che istituisce l’Auto­rità di regolazione, fu la sinistra a insediarvi il primo Presidente, Pippo Ranci.

Lo scorso anno, la faticosa composizione della crisi di governo fu pagata dall’Ulivo con la rinuncia a privatizzare l’Enel, uno dei punti del suo programma. Potrebbero applicarsi alla que­stione dell’energia le parole pronunciate da Amato per «I riformisti i al Governo dell’Europa», primo seminario della Fondazione aliani Europei concluso ieri ad Orvieto, presenti i protagonisti di ante sinistre, gli attori di passate battaglie e i leader delle sfide odierne. «Le riforme vanno impostate con e nel mercato, in modo da renderlo aperto e competitivo. Nemici sono i potentati, le cor­porazioni chiuse, i cartelli palesi e occulti che ne distorcono il fun­zionamento». La questione elettrica, nei mesi alle nostre spalle ap­parentemente negletta, in realtà oggetto di intenso lavorio, è la pri­n la difficoltà che il Governo D’Alema deve sbrogliare.
Grande è la posta in gioco: il finale della partita che incomin­cia con qualche (cauta) liberalizzazione, imposta dalla norma comunitaria, riguarderà la privatizzazione dell’Enel. L’Autorità per l’energia, come la legge le impone di fare, ha preparato una proposta. Averla resa nota prima che il Governo decidesse, anziché inopportuno, come sostenuto da alcuni in nome del primato della politica, è stato saggio. Per i suoi contenuti, è un progetto di co­raggioso riformismo: limita la posizione dominante dell’Enel nella produzione; consente ai «clienti liberi» (grandi consumatori o pic­cole imprese consorziate tra loro) di comprare energia dal produt­tore di loro scelta; costituisce in società indipendente la rete delle dorsali di alta tensione che attraversano al penisola e la collegano all’estero; attribuisce a questa società le funzioni comuni nell’ac­quisizione di elettricità e nella gestione della borsa dell’energia.
Il piano del Ministero, secondo le indiscrezioni giornalistiche, è molto più cauto, tanto da suscitare un pesante interrogativo, se questa cautela cioè identifichi un comprensibile realismo o se essa finisca invece per risolversi in un’incomprensibile conservazione. Infatti: l’Enel dovrebbe mantenere molto più a lungo la posizione dominante nella produzione, minore sarebbe il numero dei «clien­ti liberi»; la rete di trasmissione dovrebbe restare di proprietà Enel, gestita da un ente facente capo al Ministero. Così una muni­cipalizzata che volesse rifornirsi da un altro produttore, o un pro­duttore che volesse installare un nuovo impianto dipenderebbe, per il collegamento, dall’impresa dominante e dal Ministero.
Se si guardasse ai puri risvolti economici non ci sarebbero dubbi: la liberalizzazione offre enormi margini per ridurre i costi operativi, aumentare l’efficienza energetica, ridurre l’inquinamen­to; apre spazi ad investimenti e a imprenditori privati. Ma sia al­l’epoca di Nitti, sia in quella di Lombardi, a decidere non furono le ragioni economiche ma i criteri politici. Qui un dato politico so­no i «nuovi Mattei» e il potere di una tecnostruttura che ha rin­saldato lo stretto abbraccio con il Ministero: anche Bersani è co­stretto a tenerne conto. Ma un dato politico sono pure le parole pronunciate ad Orvieto, il giudizio negativo espresso da esponen­ti della maggioranza sulla modalità con cui è stata privatizzata Te­lecom; quante volte abbiamo sentito dire che si deve «liberalizza­re prima di privatizzare»?
Ora che sull’elettricità per la sinistra è il momento delle scel­te, è il caso di rivolgere un appello a D’Alema e a Bersani: se a lo­ro giudizio il realismo impedisce una limpida soluzione riformista, che almeno si salvino i principi e non si pregiudichi il futuro. Se l’Enel godrà di posizione dominante più a lungo, se la burocrazia ministeriale peserà sulle transazioni tra produttori .e utilizzatori, il danno sarà grave ma non irrimediabile. Sarebbe invece un male inaccettabile e definitivo se la rete dovesse essere in mano di pro­duttore dominante e Ministero, divisa a mezzadria. Dalla rete di­pendono l’efficienza e la libertà dello spazio economico in cui operano produttori e consumatori: quindi deve essere gestita come una società, deve essere da loro indipendente.

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