Ancora una volta, la sinistra si trova alle prese con la questione elett rica. Oggi, sul futuro assetto del mercato dell’energia, è polemica tra Ministero e Autorità regolatrice. All’inizio del secolo, prima che Lenin dichiarasse l’elettrificazione elemento portante della rivoluzione comunista, in Italia fu Nitti a proporre la nazionalizzazione; questa divenne poi la bandiera del primo centrosinistra. Trent’anni dopo si aprono prospettive di liberalizzazione: ed è alla sinistra, durante il Governo Dini, che si deve la legge che istituisce l’Autorità di regolazione, fu la sinistra a insediarvi il primo Presidente, Pippo Ranci.
Lo scorso anno, la faticosa composizione della crisi di governo fu pagata dall’Ulivo con la rinuncia a privatizzare l’Enel, uno dei punti del suo programma. Potrebbero applicarsi alla questione dell’energia le parole pronunciate da Amato per «I riformisti i al Governo dell’Europa», primo seminario della Fondazione aliani Europei concluso ieri ad Orvieto, presenti i protagonisti di ante sinistre, gli attori di passate battaglie e i leader delle sfide odierne. «Le riforme vanno impostate con e nel mercato, in modo da renderlo aperto e competitivo. Nemici sono i potentati, le corporazioni chiuse, i cartelli palesi e occulti che ne distorcono il funzionamento». La questione elettrica, nei mesi alle nostre spalle apparentemente negletta, in realtà oggetto di intenso lavorio, è la prin la difficoltà che il Governo D’Alema deve sbrogliare.
Grande è la posta in gioco: il finale della partita che incomincia con qualche (cauta) liberalizzazione, imposta dalla norma comunitaria, riguarderà la privatizzazione dell’Enel. L’Autorità per l’energia, come la legge le impone di fare, ha preparato una proposta. Averla resa nota prima che il Governo decidesse, anziché inopportuno, come sostenuto da alcuni in nome del primato della politica, è stato saggio. Per i suoi contenuti, è un progetto di coraggioso riformismo: limita la posizione dominante dell’Enel nella produzione; consente ai «clienti liberi» (grandi consumatori o piccole imprese consorziate tra loro) di comprare energia dal produttore di loro scelta; costituisce in società indipendente la rete delle dorsali di alta tensione che attraversano al penisola e la collegano all’estero; attribuisce a questa società le funzioni comuni nell’acquisizione di elettricità e nella gestione della borsa dell’energia.
Il piano del Ministero, secondo le indiscrezioni giornalistiche, è molto più cauto, tanto da suscitare un pesante interrogativo, se questa cautela cioè identifichi un comprensibile realismo o se essa finisca invece per risolversi in un’incomprensibile conservazione. Infatti: l’Enel dovrebbe mantenere molto più a lungo la posizione dominante nella produzione, minore sarebbe il numero dei «clienti liberi»; la rete di trasmissione dovrebbe restare di proprietà Enel, gestita da un ente facente capo al Ministero. Così una municipalizzata che volesse rifornirsi da un altro produttore, o un produttore che volesse installare un nuovo impianto dipenderebbe, per il collegamento, dall’impresa dominante e dal Ministero.
Se si guardasse ai puri risvolti economici non ci sarebbero dubbi: la liberalizzazione offre enormi margini per ridurre i costi operativi, aumentare l’efficienza energetica, ridurre l’inquinamento; apre spazi ad investimenti e a imprenditori privati. Ma sia all’epoca di Nitti, sia in quella di Lombardi, a decidere non furono le ragioni economiche ma i criteri politici. Qui un dato politico sono i «nuovi Mattei» e il potere di una tecnostruttura che ha rinsaldato lo stretto abbraccio con il Ministero: anche Bersani è costretto a tenerne conto. Ma un dato politico sono pure le parole pronunciate ad Orvieto, il giudizio negativo espresso da esponenti della maggioranza sulla modalità con cui è stata privatizzata Telecom; quante volte abbiamo sentito dire che si deve «liberalizzare prima di privatizzare»?
Ora che sull’elettricità per la sinistra è il momento delle scelte, è il caso di rivolgere un appello a D’Alema e a Bersani: se a loro giudizio il realismo impedisce una limpida soluzione riformista, che almeno si salvino i principi e non si pregiudichi il futuro. Se l’Enel godrà di posizione dominante più a lungo, se la burocrazia ministeriale peserà sulle transazioni tra produttori .e utilizzatori, il danno sarà grave ma non irrimediabile. Sarebbe invece un male inaccettabile e definitivo se la rete dovesse essere in mano di produttore dominante e Ministero, divisa a mezzadria. Dalla rete dipendono l’efficienza e la libertà dello spazio economico in cui operano produttori e consumatori: quindi deve essere gestita come una società, deve essere da loro indipendente.
novembre 2, 1998