Intervista di Simonetta Fiori a Riccardo Pacifici
«Perché vogliamo la legge? È necessario fissare con chiarezza dove sta bene e dove sta il male. E se anche non servirà a fermare i negazionisti, può funzionare da monito per i più giovani». Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, illustra le sue ragioni. «Vorrei anche ricordare che l’Italia arriva come fanalino di coda dopo ben quattordici paesi. I primi furono Germania, Austria e Francia. Può sfuggire alla legge proprio il paeseche ha partorito il fascismo e le leggi razziali?».
Una delle obiezioni riguarda l’efficacia del provvedimento. I negazionisti sono farabutti, ma la legge è un argine debole.
«Le leggi non risolvono i problemi. Il crimine non è stato debellato nei paesi dove vige la pena di morte. E nonostante il furto sia reato, in Italia e anche altrove si continua a rubare. Le leggi però fissano dei paletti. E oggi, con la recrudescenza dell’antisemitismo, serve a fissare uno spartiacque tra qual è la parte del bene e qual è la parte del male. Penso al vasto pubblico degli spettatori indifferenti e ignari. E penso ai più giovani, che poco sanno: il reato di negazionismo potrebbe indurli a una riflessione».
Non c’è il rischio di fare pubblicità a tesi ignobili? Là dove la legge è stata approvata, i processi sono stati formidabili tribune mediatiche.
«Ben vengano i processi, se servono a far parlare di quel che accadde settant’anni fa. Il dibattimento sul boia delle Fosse Ardeatine è servito a tante persone per approfondire pagine di storia altrimenti dimenticate. Così i processi contro i responsabili delle stragi nazifasciste in Italia: perfino io ho scoperto episodiche ignoravo».
Ma un conto sono i processi contro i responsabili dei crimini, un conto i processi contro chi li nega. Si rischia di farne dei martiri.
«È importante che comunque si continui a parlare dello sterminio. È necessario soprattutto ora che vengono a mancare i sopravvissuti. Sono stato pochi fa giorni ad Auschwitz, e purtroppo per ragioni di anagrafe e di salute molti degli ex deportati sono dovuti restare a casa. Le assicuro che è davvero un’altra cosa: parlare con loro e senza di loro».
Non pensa che la scuola serva più di una legge?
«Ma è evidente che i tribunali non sostituiscono l’azione di prevenzione fatta dalle scuole, che resta comunque prioritaria. Il reato ha però un valore simbolico forte. E poi dovremmo adottare verso i siti che predicano negazionismo e odio razziale le stesse misure adottate nei confronti dei siti pedopornografici. L’accostamento può suonare sacrilego, ma serve per far capire che ci sono le condizioni per intervenire concretamente».
Molti intellettuali anche ebrei si oppongono alla legge per una ragione di principio: non si può limitare la libertà intellettuale.
«Sì, sono contento che ci sia questa discussione. In realtà noi sosteniamo la legge non per soffocare la libertà di opinione, ma per impedire che i negazionisti entrino nelle università italiane – come purtroppo è già accaduto – o nelle sedi istituzionali. Quando Faurisson fu invitato dall’università di Teramo, per fermarlo occorsero l’intervento di un bravo rettore e perfino l’ordinanza di un questore coraggioso. Con una legge, ci sentiremmo più tutelati ».
Cosa pensano gli ex deportati di questa nuovo provvedimento?
«Tutti quelli che ho sentito sono favorevoli. Con l’unica eccezione di Piero Terracini. Ma è stato lo stesso Terracini a dire: io non so perché neghino. So per certo che, se fossero vissuti settant’anni fa, sarebbero stati dalla parte dei carnefici. Anzi: sarebbero stati essi stessi carnefici. In poche parole, ha detto tutto».
ottobre 24, 2013