Il rischio vero è che qualcuno all’interno del Pd strumentalizzi l’avversione al leader della Cdl per ostacolare il segretario e il processo di rinnovamento
Più che quello di Berlusconi, ad agitare i sonni della sinistra italiana dovrebbe essere lo spettro della gauche in Francia, ridotta a fornire uomini al governo e alle commissioni di Sarkozy. Quando frana il terreno sotto i piedi, bisogna avere il coraggio di arretrare fin dove si trova un terreno sicuro: in altri campi lo si chiama stop loss.
Stop loss vuol dire non credere agli ottimismi, non sperare nei compromessi, non dare nulla per scontato; aprire gli occhi invece di stringere i denti, essere più lucidi che caparbi, preferire la solitudine a vicinanze moleste. Aveva in mente questo Walter Veltroni quando ha dichiarato che il PD alle prossime elezioni si presenterà da solo? È molto di più di quanto aveva già detto, che ci si coalizza solo sulla base di un programma; rende più netta la discontinuità rispetto al modello Prodi. I giorni successivi gli hanno dato ragione. Adesso, vorrà tradurre le parole in atti?
Su legge elettorale e possibilità di modificarla prima delle elezioni, a Veltroni basta tenere la rotta, ribadire che il PD è maggioritario. Rendendo chiaro che questa scelta non si deve solo al fatto che chi corre da solo è avvantaggiato da un sistema elettorale che privilegia il “voto utile”; quanto invece al fatto che il maggioritario è nel DNA del centrosinistra, è coerente con il metodo delle primarie; mentre la scelta del proporzionale mostrerebbe che si continuano a fare politiche del pallottoliere, addirittura più spregiudicate. Dopo di che, lasciare a Berlusconi la responsabilità dei danni che l’attuale legge provocherà al Paese ( e forse al suo stesso governo, se vincesse).
Le difficoltà vere per Veltroni stanno non fuori, ma dentro il partito; riguardano non la scelta degli alleati, ma la definizione della propria base ideologica. Un partito a vocazione maggioritaria, nella lettura del passato e nella visione del futuro, deve saper dire qualcosa di più del “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. L’antiberlusconismo non serve più. Veltroni a Torino l’aveva abbandonato: già appariva l’obbiettivo che giustificava la sopravvivenza di un Governo in difficoltà a realizzarne altri; adesso c’è da scongiurare che il centrosinistra all’opposizione, con diabolica perseveranza, sprechi un’altra legislatura a girotondarsi addosso. Per accantonare l’antiberlusconismo ci vuole un atteggiamento laico verso il berlusconismo, capire in che consiste, da dove proviene, che cosa lo alimenta. Per Luca Ricolfi, su La Stampa di lunedì, nasce per “pigrizia mentale” della classe dirigente di una sinistra che ha perso tutti gli appuntamenti della storia. Se si assolve quel passato perché, come ha detto D’Alema, ha insegnato alla sinistra a stare all’opposizione, c’è veramente da concludere che “a fronte di un ritardo di mezzo secolo, vent’anni di Berlusconi sono una punizione fin troppo lieve”.
Ma la “pigrizia mentale” del PCI poco avrebbe potuto senza la pretesa superiorità di quella parte della cultura e della società italiana che guardò al partito comunista come a quello che avrebbe ammodernato la società italiana, e contò sulla facile annessione del suo 30% di voti per evitare di fare i conti con le proprie idee. Gli anni 80 potevano essere l’occasione di una svolta, e Craxi l’inizio di un cambiamento. Appare come una nemesi storica che proprio in quegli anni, col rifiuto di superare il monopolio pubblico della televisione, si siano poste le basi della fortuna economica e del futuro politico di Berlusconi. Al vertice del PD si trovano ora i successori di quelli che aspettarono due anni dopo la caduta del muro per dire ai loro militanti che qualcosa era cambiato: ma assai più grave é che il nucleo interno del centrosinistra sia presidiato da elettori con una visione manichea della politica italiana, cultori di un anticapitalismo estetico, che attribuiscono alla sinistra (a se stessi che la votano) una superiorità politica, intellettuale e morale. Disposti ad assolvere munnezza e magistratura, sanità e scuola, pronti a tollerare qualsiasi cosa pur di tenere lontano Berlusconi.
Quando si riposiziona un partito sull’asse delle preferenze politiche, si può contare di riguadagnare sul lato destro ciò che si perde sul lato sinistro, e viceversa. Quella di elettori situati al centro del proprio schieramento è invece una perdita netta. D’altro canto, perché la vocazione al maggioritario non rimanga un’insoddisfatta aspirazione, il PD è obbligato a raccogliere i consensi di una parte di chi oggi voterebbe Berlusconi. È a questa prova che aspettiamo Veltroni, e la sua capacità di rinnovare la sinistra. E poi, per dirla tutta, il rischio per lui non è neppure di perdere quelli dei suoi che non riuscisse a convincere: il rischio vero è che proprio chi ha usato l’antiberlusconismo come strumento di governo, offra, o anche solo minacci di offrire, una sponda politica agli estremisti di centro, fino a trasformare in scisma le defezioni individuali, e così contrastare le scelte, o almeno limitare la leadership, del segretario. Stop loss proprio questo significa: affrontare una perdita certa per evitare un disastro possibile.
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gennaio 30, 2008