Lettera aperta a Silvio Berlusconi
Onorevole Berlusconi, l’assetto del sistema televisivo è di assoluta rilevanza per un paese industriale. Sono certo che lei conviene sia su questa proposizione, sia sul suo contrario, essere cioè un danno per il paese l’ingorgo di problemi che su questo tema si è venuto formando: referendum e data delle elezioni, diritti mediatici e diritti d’impresa; anche le interruzioni pubblicitarie. che a rigore attengono alla politica culturale o alla protezione dei consumatori, assumono valenza di politica generale. Dovrebbe convenire, onorevole Berlusconi, che ciò non è avvenuto per caso: è stato proprio l’assommarsi nella sua persona del ruolo di capo dell’esecutivo e di proprietario di tanta parte del sistema televisivo italiano, a conferire rilevanza politica primaria alla questione.
Rilevanza che le posizioni da lei via via assunte per affrontare un problema di cui lei stesso affermò avere «lucida consapevolezza» non hanno certo contribuito a smorzare, e che anzi le clamorose asimmetrie nell’uso dei media, cui stiamo in questi giorni assistendo, inevitabilmente esasperano.
Alla preoccupazione per la distorsione delle regole della competizione politica, se ne unisce in me un’altra non se-condaria: lo strumento referendario può servire a sbloccare l’impasse, ma un sì o un no referendario non sembrano lo strumento migliore per definire l’assetto di un settore industriale; ancor più quando il quesito viene posto in un clima di così forte contrapposizione. Quando sono in gioco equilibri economici di imprese, abitudini di utenti, variabili tec-nologiche, oltreché diritti costituzionalmente garantiti, tempi e modi in cui raggiungere l’obiettivo finale possono essere fin più rilevanti dell’obiettivo stesso.
Il problema si tende quindi tra la prospettiva immediata, nell’urgenza determinata dalla sua iniziativa politica, ono-revole Berlusconi, e la prospettiva di medio-lungo termine, nella quale trovare la soluzione, e degli aspetti industriali e di quelli politici.
Ora le chiedo: condivide lei questa analisi? È in tal caso disposto ad aprire un serio dibattito sul futuro del nostro si-stema televisivo? A farlo mirando non al corso degli eventi immediati su cui influire, ma alla prospettiva di medio ter-mine in cui collocarli? E ciò senza dare adito a sospetti di voler strumentalizzare questa per rinviare quelli? Strutturale è il problema delle televisioni generaliste via etere. Abbiamo spremuto questo limone all’estremo, e l’evoluzione del conto economico della sua impresa ne porta le tracce. Per tutte le imprese è difficile recuperare sui ricavi gli aumenti dei costi. Ancor più se questi lievitano per una concorrenza che il valore politico della televisione ha esaspera to (e anche questo ammetterà, non è prodotto del caso). Qui poi non si vede dove agire per aumentare i ricavi: non sui volumi, dove l’impiego del tempo e del linguaggio sono arrivati a estreme raffinatezze (basta paragonare i vecchi caroselli con la fulminante sintesi degli odierni messaggi); non sui prezzi, dove le forme più aggressive di distribuzione pongono un limite al costo pubblicitario che i prodotti possono sostenere; non sul numero di clienti, la televisione genera-sta essendo efficace solo per i prodotti di largo consumo.
Strutturale è pure il problema del numero di reti, che non è di dimensione d’impresa (la Chrysler non si lamenta della dimensione della General Motors), quanto di intrinseca economia di gestione. Ma ammetterà che l’optimum dimen-sionale nell’uso di un bene pubblico quale l’etere non può essere fatto valere contro un diritto pubblico primario quale il pluralismo, non solo verso gli utenti; ma anche verso alti-. operatori (penso al caso di Cecchi Gori) che pure hanno di-ritto a concorrere nell’uso del bene pubblico per esplicare la propria attività di imprenditore.
I due problemi strutturali, quello industriale e quello politico, non saranno mai risolti logorandosi in questa guerra di trincea. Essi sono resi acuti dal suo ruolo politico, onorevole Berlusconi, ma varrebbero anche senza di esso.
È necessario allargare il campo, sfruttare le possibilità che la tecnologia offre di aumentare il numero dei canali, di offrire mezzi più adatti ad attività industriali, commerciali. di intrattenimento che le specifiche caratteristiche della te-levisione via etere non riescono a soddisfare. Sono queste le considerazioni che avevo in mente redigendo il mio proget-to sulla liberalizzazione delle Tv via cavo: i Comuni abbiano il potere di rilasciare concessioni, gli operatori cavo of-frano anche il servizio telefonico, il capitale privato finanzi la costruzione dei primi tratti delle autostrade dell’informa-zione. Le centinaia di canali che così si rendono disponibili consentono di uscire dall’impasse attuale allargando il ter-reno di gioco, tra l’altro offrendo a Fininvest l’opportunità di diversificarsi e di far valere anche in questo nuovo settore le indubbie capacità imprenditoriali e l’esperienza di cui dispone. Futuribile? In Inghilterra in questo modo in pochi anni si son date licenze per 14 milioni di utenti.
Un’abilità che anche i suoi detrattori le riconoscono è quella di una straordinaria scelta dei tempi; e il professor Prodi, di questo progetto diventato entusiasta, ormai ripetutamente ne parla… Lei può contribuire ad accelerare il pro-cesso dichiarando il suo assenso a un allargamento del mercato: abbandonando una difesa antistorica di posizioni sto-riche; aprendo il mercato alla concorrenza di altri operatori, così come lei fece all’inizio della sua avventura industriale, contribuendo a smontare quel mostro che è diventato la Rai, che invece proprio con questa contrapposizione frontale rischia di perpetuarsi. Non è sicuro che si giunga in tempo a smorzare le incombenti polemiche. Ma facendolo si offri-rebbe da subito una prospettiva per un settore industriale di vitale importanza per il paese. Non potrò che rallegrarmi se così si apriranno opportunità anche per la sua azienda.
Con i migliori saluti.
marzo 16, 1995