di Francesco Forte
1. Il 30 Aprile 1993, davanti all’Hotel Raphael, il popolo viola d’allora lanciò un cesto di monetine contro Bettino Craxi, il pentapartito e la prima Repubblica. Era l’inizio dell’operazione giustizialista, a cui è seguita la cannibalizzazione e la svendita della maggior parte dell’apparato di grandi imprese italiane. Il gruppo Ferruzzi, Montedison Finsider, Italtel, T SME, Enichem, mentre Olivetti fu svuotata come impresa elettronica e trasformata in compagnia di telefonia cellulare e Telecom Italia, oggetto di scalate successive, non assumeva il ruolo di avanguardia tecnologica che, come campione nazionale, avrebbe potuto avere. Era stato, così, colpito il motore della crescita industriale italiana. L’apparato bancario imprigionato nella nuova gabbia delle Fondazioni bancarie risultava inadeguato alle funzioni di sostegno all’ investimento delle imprese sul mercato internazionale.
Il patto sindacale del 2003 irrigidiva i contratti di lavoro.
Da allora sono trascorsi venti anni, prima di declino e poi di ripresa con gli alberi giovani della foresta, che sono cresciuti e con alcuni grandi tronchi vetusti che hanno ripreso a crescere. Ma le difficoltà della crescita italiana dipendono, in larga misura, dal fatto che le grandi imprese, nel nostro paese, hanno un ruolo minore di quello desiderabile nell’epoca dei mercati globali.
Ora il gruppo Fiat, è fuoriuscito dal consociativismo del patto sindacale del 1993, mediante i contratti aziendali basati sulla produttività, grazie anche al sostegno discreto del governo e la collaborazione dei sindacati liberi. Questa linea deve poter continuare ed ampliarsi per la crescita della nostra economia.
2. L’Italia ha però retto, meglio di altri stati, alla crisi finanziaria, grazie al risparmio delle famiglie e alla tenuta del suo apparato produttivo costituito soprattutto di medie e piccole imprese e di multinazionali tascabili. Il tasso di disoccupazione che era stato ridotto dal precedente governo Berlusconi mediante la legge Biagi, al 6,1 per cento, non è salito oltre lo 8,8% , grazie ad ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, gestiti dal Ministro Sacconi con tempestività e saggezza. E non ci sono state grandi crisi aziendali.
Il sistema bancario ha tenuto bene, non c’è stata la crisi dei mutui immobiliari, né del mercato immobiliare, perché il governo, tempestivamente, aveva abolito l’ICI sulla prima casa e le famiglie erano capitalizzate. Alle tre grandi banche delle Fondazioni bancarie, Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi mancano 19.390 miliardi rispetto ai parametri di Basilea 2, ma hanno superato la crisi senza grandi problemi grazie al basso coefficiente di rischio dovuto alla elevata solvibilità della clientela. Il risparmio delle famiglie formiche le ha aiutate.
3. L’Italia, che, prima della crisi mondiale aveva il più alto rapporto del debito pubblico sul Pil, non è stata colpita dalla crisi debitoria dell’euro zona, che ha coinvolto i PIGS. La “i” che una volta alludeva all’Italia, ha riguardato l’Irlanda.
La politica di bilancio prudente e il fatto che il governo, dotato di una sua solida maggioranza, sia rimasto stabile, anche dopo la fuoriuscita dei parlamentari di Fli, hanno evitato che l’effetto domino coinvolgesse l’Italia, insieme alla Spagna e al Portogallo pericolanti, dopo che erano cadute
Grecia e Irlanda.
Ora il governo ha una maggioranza confortevole e sarebbe una follia suicida se andassimo ad elezioni anticipate o rompessimo la continuità politica che costituisce la diga contro la perdita di credibilità del nostro debito .
Rispetto al 2007, il rapporto debito pubblico /Pil nonostante la politica di rigore di bilancio, è aumentato dal 103 ,05 al 118% del PIL. Ciò è dovuto in parte alla crescita del deficit di bilancio, che era il 2,7 nel 2008 al 5,3 e poi al 5% nel 2009 è IL 4, 5, nel 2010 dovrebbe scendere al 3,5 nel 2011 e al 2,7 nel 2012 e in parte maggiore alla caduta del PIL, che nel 2010 è di 5,3 % punti inferiore a quello del 2008. Nel 2011 il Pil reale dovrebbe essere ancora di 4 punti inferiore a quello del 2007. Il cumulo di tassi negativi di Pil dal 2008 al 2011 è di circa 15 punti.
Riprendere la crescita è dunque la principale terapia per la riduzione del rapporto fra debito e Pil .
Gianfranco Polillo spiegherà come anche con una modesta crescita del PIL la decrescita del rapporto debito/Pil sia per l’Italia certa. Ma una crescita maggiore accelera questo risultato e soprattutto consente di risolvere il problema della disoccupazione giovanile e del Mezzogiorno.
4. Sul cammino della crescita, ora c’è una nuova minaccia, quella di una tassazione patrimoniale straordinaria.
Di essa ci sono tre versioni.
La prima è di Giuliano Amato, che vuole ridurre di un terzo il debito pubblico, che è attualmente di circa 1800 miliardi, tassando per 30 mila euro ciascuno (di media) il terzo più abbiente degli italiani, cioè 20 milioni . Al lordo dei 5 milioni di extra comunitari si tratta però del 36,36%. Ciò, secondo Amato sarebbe ragionevole perché pro capite il patrimonio degli italiani, netto dei loro debiti, è di circa 11 mila miliardi ossia 185 mila euro pro capite, ma l’80 per cento di questa cifra, 9 mila miliardi è del terzo di abbienti, che hanno 450 mila euro ciascuno. Di media i 30 mila euro pertanto sarebbero “solo” il 6,6 per cento del loro patrimonio.
Sin qui Amato, nella realtà, poiché il terzo più abbiente vero è diverso dal terzo più abbiente per il fisco, la preda è molto vasta, include la media delle famiglie italiane. La proposta di Amato darebbe al fisco un totale di 600 miliardi, ripartititi su due anni, circa il 19% del Pil all’anno, provocando un avanzo di bilancio superiore al 15%, ammesso che nel frattempo i capitali non siano fuggiti e l’economia non fosse andata in crisi, a causa di questa interferenza del fisco sui risparmi.
5. La seconda proposta è di Pellegrino Capaldo: una imposta sugli immobili, fra il 5 e il 20 per cento del loro valore, per dimezzare il debito pubblico, portandolo dal 118 al 59 % del Pil. Il debito pubblico è pari, grosso modo, al 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano. Ergo, metà del debito pubblico è il 12,5% del valore degli immobili italiani. Capaldo propone una imposta, a suo avviso, più equa, della patrimoniale pura, in quanto si tratta di un tributo sulla rendita immobiliare capitalizzata, cioè sull’ aumento di valore (suppongo al netto del tasso di inflazione) degli immobili dal momento del loro acquisto per eredità o compravendita o della loro costruzione a cura dei titolari.
Una aliquota oscillante fra il 5 e il 20 per cento della plusvalenza, che, a suo avviso, basterebbe a assicurare il gettito in questione, circa 900 miliardi di euro. La sua concreta determinazione sarebbe lasciata alla politica “intesa nel senso nobile della parola” (sic !).
Il pagamento potrebbe avvenire con rate prolungate nel tempo sino alla cessione del bene. Nel frattempo, gli immobili verrebbero ipotecati a favore del fisco e una gigantesca ipoteca si stenderebbe sul patrimonio immobiliare, crescendo nel tempo con il gioco degli interessi composti e del tasso di inflazione.
Va osservato che non essendo il tributo in proporzione alla rendita oggettivamente acquisita dai vari immobili, ma a quella realizzata soggettivamente dal momento del loro acquisto, da parte dei singoli contribuenti, verrebbero sistematicamente favoriti i costruttori di immobili che li hanno venduti poco dopo averli costruiti, realizzando subito la rendita edilizia. Una proposta furba.
6. La terza proposta è di Walter Veltroni.
Una imposta straordinaria, che lui non chiama patrimoniale, sul “10% del paese“ che possiede il 48% della ricchezza nazionale, pari al 40% del Pil, cioè di 90 miliardi, che porterebbe il rapporto fra debito e Pil dal 120% allo 80% e che sarebbe pagabile in 10 anni. Poiché la distribuzione della ricchezza non coincide con quella che risulta al fisco, anche questa imposta dai contorni misteriosi finirebbe sui ceti medi e sarebbe molto simile a quella di Giuliano Amato.
7. Coloro che adesso dovrebbero essere tassati perché fruitori di rendite, sono coloro che hanno trasformato l’Italia da un paese in gran parte agricolo a reddito modesto, in un paese industriale ad alto reddito dal dopoguerra ad ora.
Nel 1951 il prodotto dell’agricoltura era ancora il 25% di quello del settore privato, attualmente è il 2% . Nel 1951, il 46% degli addetti del settore privato era occupata nell’agricoltura, ora è il 4%. Il Pil italiano nel 1951 era di circa 198 miliardi di euro di potere di acquisto 2000 e pro capite era di 4.212 euro sempre 2000. Attualmente il Pil globale è di circa 1225 miliardi di euro 2000 e pro capite è di 21 mila. Il Pil globale è aumentato di 6,2 volte, quello pro capite di 5 volte.
Gran parte dei padri e dei nonni dei proprietari di questi beni e delle imprese oggetto del tributo straordinario erano contadini, operai, piccoli impiegati, diplomati e laureati con reddito modesto.
Ora l’Italia è sei volte più ricca, ed è merito di queste persone e di loro figli e nipoti, tanti formicai operosi, tanti alveari da cui escono ogni mattino sciami di api laboriose che vanno per tutto il mondo, per portare a casa altro miele.
La tentazione di prelevarlo per privatizzare il debito pubblico è forte. E l’ingombro è Berlusconi, che guida la coalizione che è espressione di questo formicaio di risparmiatori e di questo alveare di partite IVA.
Rimosso lui, “il Caimano”, la patrimoniale, idra rosastra, in una forma
o nell’altra, sarebbe la base del nuovo governo, nato dal processo
Rubi-Boccassini-Bruti Liberati.
La crisi mondiale è nata dalla carenza di parametri patrimoniali. L’Italia se l’è cavata perché ha il risparmio.
Prelevare questi risparmi e passarli al fisco, che alleggerito dal gravame del debito, sarebbe spinto a far crescere le spese, a favore del nuovo consociativismo, significa curare il male con la causa della malattia .
8. Gli stati dell’eurozona a basso deficit pubblico sul Pil – in particolare Germania, Olanda e Francia – per rendere permanente e accrescere nelle dimensioni e negli strumenti il Fondo europeo per la stabilizzazione che serve per interventi a favore dei paesi con rischio debito – pongono come condizione:
1)una disciplina fiscale caratterizzata da pareggio del bilancio , possibilmente costituzionalizzandolo;
2) l’armonizzazione della tassazione delle imprese;
3) la libera circolazione dei servizi intellettuali;
4) elevamento a 67 anni dell’età pensionabile;
5) la non indicizzazione dei salari all’inflazione.
Ciò come quadro entro cui ciascun paese membro dovrà attuare una politica di crescita. Questa è lasciata alle nostre scelte, nel quadro di una economia di mercato , che rispetti le regole sulla concorrenza a livello comunitario.
La costituzionalizzazione della regola del pareggio del bilancio non è una innovazione contraddittoria con la politica di crescita. E’ la tesi che Einaudi e Vanoni sostenevano, nell’assemblea Costituente e che non riuscirono a esprimere in modo adeguato, nell’articolo 81 della Costituzione a causa dell’opposizione degli altri costituenti. E’ la regola di bilancio che stava alla base del piano decennale Vanoni.
Attualmente la propulsione dell’economia viene dalla capacità di competere sui mercati mondiali, in quanto è in atto una espansione del PIL mondiale dovuta ai paesi emergenti e a quelli in ritardo.
9. La nostra malattia dell’eccesso di debito si cura con la crescita per due ragioni. La prima sta nel fatto che con la crescita del PIL, a parità di deficit annuo, si riduce il rapporto debito/ Pil.
La seconda è che con la crescita è più facile attuare il pareggio del bilancio, perché si può ridurre il deficit senza ridurre il livello delle spese, limitando il loro aumento in termini reali a una percentuale inferiore alla crescita del Pil. Se il Pil cresce del 2 % annuo, anziché dello 1 % è possibile ottenere il pareggio del bilancio in 2 anni entro il 2014, con una crescita della spesa dello 0,7 e una riduzione dello 1,3 annuo del deficit sul Pil. In seguito, con questo schema si può ridurre la pressione fiscale di un punto all’anno per portarla in tre anni dal 43 al 39%. Il di più di crescita del Pil comporta di anticipare tale situazione, pur con incrementi di spesa.
10. La politica di crescita, se guardiamo il modello tedesco, in cui essa è in atto, si basa:
a) sui contratti di lavoro flessibili e orientati alla produttività,
b) sulla liberalizzazione dell’economia dai vincoli burocratici,
c) su una elevata propensione al risparmio che consente investimenti sostenuti,
d) sulla bassa pressione tributaria sulle imprese e sui risparmi,
e) su investimenti efficienti nelle infrastrutture e nell’energia,
f) sulla riduzione all’essenziale delle imprese pubbliche.
Il tutto consente all’economia di essere fortemente industrializzata e orientata al commercio estero.
11. L’Italia ha attuato una riforma pensionistica che eleva, troppo gradualmente, a 67 anni l’età di pensionamento, e che dovrebbe essere accelerata, nel quadro di politiche pro crescita e pro occupazione. Ha adottato una tassazione del risparmio moderata, grazie alle barriere dei governi Berlusconi agli aumenti dell’imposta sulle rendite finanziarie, alla abrogazione dell’ICI sulla prima casa e fa barriera contro le tassazioni patrimoniali.
Ma siamo indietro per la pressione tributaria sulle imprese e sui costi del lavoro, che è troppo elevata, soprattutto a causa dell’IRAP. Il salario di produttività, con il sostegno del governo Berlusconi sta prendendo piede nel settore privato e sta avanzando nel settore pubblico, ma la strada in questo campo è solo agli inizi, come mostrano le difficoltà in cui si è dibattuta la Fiat nell’introdurlo e il ritardo della Confindustria nel sostenere questa linea.
12. Ed ecco ora il programma Berlusconi per il “secondo tempo” della politica pubblica quello della crescita, con la modifica dell’articolo 41 della Costituzione e del 97 e del 118, le liberalizzazioni, le privatizzazioni e le politiche di investimento che a ciò si collegano.
La tesi della sinistra e dai centristi che questo programma è tardivo è errata.
In Europa questa fase parte ora
La modifica dell’articolo 41 della Costituzione nel senso che l’iniziativa economica è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, approvata dal Consiglio dei ministri è una riforma storica, anche perché accompagnata dalla clausola per cui le autorizzazioni preventive saranno sostituite dal controllo amministrativo unico a posteriori e perché il nuovo articolo 41 modifica strutturalmente il modello federalista, introdotto con la modifica costituzionale attuata dal centro sinistra, che dà a Regioni ed enti locali ampio potere di bloccare le liberalizzazioni, le opere pubbliche, le infrastrutture, l’edilizia abitativa e commerciale. E ciò comporta perciò la riforma dell’articolo 118 relativo alle funzioni delle Regioni e degli enti locali, per uniformarlo al principio di libertà del nuovo articolo 41, stabilendo il principio dell’autocertificazione e del controllo ex post. E’ importante anche la riforma dell’articolo 97 relativo ai dipendenti pubblici con l’introduzione dei principi di meritocrazia della riforma Brunetta .
13. Per una frustata atta ad accelerare la crescita occorrono altre misure a effetto meno diluito nel tempo. Il primo consiglio dei ministri della fase pro crescita ha sbloccato i fondi pubblici per il cofinanziamento degli investimenti nella la banda larga, che comportano una quota di capitale privato di gran lunga maggiore. Ciò riguarda un processo di modernizzazione tecnologica, nel sistema di trasmissione di dati via cavo.
E’ ancora fermo il piano casa di Berlusconi che doveva generare iniziative di ampliamento degli immobili stimate in 70 miliardi di euro subito e nel giro di pochi esercizi.
Purtroppo Regioni e comuni si sono avvalsi di loro regolamenti edilizi ed urbanistici per bloccare questa iniziativa. Abbiamo il record dei ritardi nelle infrastrutture ed opere pubbliche a causa dalla nefasta legge Merloni varata nell’epoca giustizialista e aggravata da successive modifiche.
14. La politica di investimenti è essenziale per la crescita. Dato il vincolo di bilancio occorre adottare misure ad alto potenziale, tali da generare molti effetti postivi con poco costo in termini di spese o minori entrate.
Ciò comporta:
1) impiego massimo dei fondi comunitari, generalmente sotto utilizzati e semplificazione delle procedure che li riguardano anche con task force dello stato di supporto alle Regioni;
2) sviluppo del project financing, con mero cofinanziamento pubblico;
3) adozione preferenziale del finanziamento del servizio di interessi e ammortamenti di prestiti contratti dalle imprese rispetto alla spesa pubblica: un sistema che riduce i costi di bilancio a meno di un decimo della spesa;
4) aumento delle garanzie sui fidi e credito agevolato per credito alle piccole e medie imprese, per i distretti industriali e per il commercio estero;
5) massimo impiego dei fondi europei ed esoneri fiscali mirati per le nuove iniziative nelle Mezzogiorno, che non generano perdita di gettiti trattandosi di fatti nuovi.
15. Quel che è stato fatto per ora per le liberalizzazioni è poco, dato anche il rinvio del decreto sulla concorrenza.
Una misura da proporre subito è la legge di liberalizzazione dell’orario dei negozi festivi e feriali.
Gli interventi che verranno indicheranno che cosa ReL propone al riguardo.
Le 36 liberalizzazioni proposte da Bersani in alternativa mostrano che a sinistra non ci sono idee. Alcune non sono liberalizzazioni ma regolamentazioni, come l’ istituzione di nuove autorità o la regolamentazione di professioni non regolamentate. La legge che equipari le professioni ai servizi, per le misure comunitarie e italiane di sostegno economico è ragionevole, ma comporta spese pubbliche, non liberalizzazione e pone questioni di copertura.
E’ buona la proposta d’abrogazione dei vincoli regionali sulla liberalizzazione dei carburanti. Ma essa fa nascere un conflitto costituzionale fra stato e Regioni, che si può evitare solo con la modifica dell’articolo 41 che il che governo propugna. Analoga considerazione vale per la proposta di permettere l’apertura domenicale dei negozi anche nei comuni non turistici che favorisce sopratutto la grande distribuzione e quindi la Coop, ma aiuta moltissimo il consumatore.
La proposta di stabilire l’avvio immediato di stabilimenti produttivi con autocertificazioni e controlli ex post, fa parte dell’iniziativa parlamentare del PDL di Vignali con lo statuto dell’impresa.
E altrettanto quella di consentire alle imprese di scegliere i tempi di esercizio delle loro attività e quindi i loro orari.
Mi pare che sia il modello Marchionne per gli stabilimenti Mirafiori e Pomigliano, avversato da CGIL.
Quanto alla direttiva europea sulla libertà di accesso di servizi, suggerirei di subordinarla al pari trattamento negli stati beneficiari.
Non c’è altro di rilievo nel progetto del PD.
E il centro su questi temi tace.
16. Per quella parte tributaria, i vincoli di bilancio non vanno mitizzati. E ciò anche a prescindere dalla curva di Laffer.
Innanzitutto c’è una proposta che non costa con riguardo all’Irap. Si tratta di scindere in due l’IRAP, una parte quella sui costi del lavoro come contributo sanitario e l’altra come imposta sui redditi lordi delle imprese. In questo modo tale seconda componente dell’Irap potrà essere portata in deduzione dalla propria imposta sul reddito dai soggetti esteri che investono in Italia, cosa non possibile con l’IRAP attuale. E ciò per il fisco statale e regionale non implica alcuna perdita di gettito.
Anche l’ estensione della riduzione fiscale per il salario di produttività, in buona parte non comporterebbe perdita di gettito. Ciò è vero per gli incrementi retributivi collegati alla produttività e il lavoro straordinario aggiuntivo. Anche una parte del lavoro notturno dei contratti di produttività è lavoro aggiuntivo. La perdita di gettito che può derivare dalla riduzione fiscale per il lavoro notturno residuo, può essere coperta coi proventi dell’intensificazione del contrasto all’evasione fiscale, con i nuovi strumenti: alcuni comportano interferenze nel privato che si possono giustificare solo sulla base di importanti obbiettivi di vantaggio generale.
Inoltre c’è spazio per finanziare le riduzioni fiscali, sfrondando l ‘enorme area delle agevolazioni.
Secondo stime ufficiali nel 2011 in Italia esse ammontano a 144 miliardi, lo 8.9% del Pil e il 31% del gettito delle entrate tributarie totali.
Sono 89 miliardi per l’Irpef : il 62% del totale. Le agevolazioni nell’IVA sono 38 miliardi, il 26% di quelle complessive. Le agevolazioni nell’Irap sono di 5,4 miliardi, quelle nelle imposte sui consumi 3,5.
Con 6 miliardi è possibile attuare la detrazione piena dell’Irap sui costi del lavoro e sugli interessi passivi dall’Imposta sul reddito di impresa, da realizzare nel 2011 e nel 2012. La copertura può venire dagli esoneri Iva e nelle altre imposte indirette. Un programma che genera una riduzione del carico fiscale sugli utili delle imprese fra il 6% e lo 8%.
Più in generale la modifica della struttura tributaria è fondamentale per la crescita e può essere effettuata in costanza di pressione fiscale sul PIL.
I cento miliardi di spesa sanitaria pubblica, il 6,5 del PIL, rischiano di sottrarre questo settore allo sviluppo della produttività. Ma se si fa ampio ricorso alla privatizzazione dei servizi sanitari e delle gestioni ospedaliere questo 6,5% di domanda pubblica può divenire un grande volano di sviluppo. E le privatizzazioni totali e parziali per le imprese locali e la collocazione in borsa prima della minoranza poi della maggioranza azionaria di Poste, Anas e Trenitalia, servono a ridurre il debito pubblico soprattutto perché i loro debiti per i loro investimenti ne escono, e a generare maggiore efficienza, nuove iniziative e quindi crescita.
17. Chiudo con una proposta, alternativa a quella della botta secca, per il problema del debito. Si tratta di stabilire – accanto alla regola del bilancio in pareggio, che ne comporta la diminuzione costante nel tempo – un fondo per il servizio del debito, a cui vincolare in modo esclusivo, una quota di Irpef e di imposte indirette, sicché il bilancio pubblico, prioritariamente provvede in modo legalmente automatico, al servizio del debito.
Questo meccanismo, oltre ché rassicurare i creditori, rende trasparente l’onore del servizio del debito, che è attorno al 5 % del Pil e induce alle politiche per ridurlo, con perseveranza.
Altri ora spiegheranno, meglio di me, in generale e in concreto, come la libertà economica possa generare la crescita.
ARTICOLI CORRELATI
Cari Amato e Capaldo, con la patrimoniale volete un default politico
di Franco Debenedetti – Il Foglio, 08 febbraio 2011
L’ultimo autogol del PD: riparlare di patrimoniale
di Franco Debenedetti – Vanity Fair, 01 febbraio 2011
Patrimoniale: esproprio o dovere morale?
di Franco Debenedetti – Il Foglio, 29 gennaio 2011
febbraio 18, 2011