Da Putin ad Hamas. Caro Rovelli, ecco i veri criteri per scegliere chi votare
Era già stato nel gennaio 2023 per la mobilitazione “Natale in tempo di pace” a Verona; poi, nell’aprile 2024 per la traduzione del rapporto “Arming Europe” sugli effetti della spesa militare in Italia e in Europa. Figuriamoci se Carlo Rovelli poteva resistere alla tentazione di scrivere, alla vigilia delle elezioni, una disamina delle posizioni dei partiti politici italiani in merito a quello che è il suo chiodo fisso: una riduzione bilanciata globale delle spese militari, come mezzo di risoluzione dei conflitti e dei massacri in corso.
Una tesi che contrasta con i fatti: si guadagna a fabbricare gladii e a produrre scudi, a incurvare archi e a laminare corazze. Non è necessario fare guerre in cui le armi vengano distrutte, ci pensano le tecnologie, inventando nuove armi e corrispondenti mezzi per difendersi, a gonfiare i budget delle aziende militari. Si fabbricano radar per intercettare gli aerei, e si progettano aerei invisibili ai radar; si fabbricano droni con una tecnologia nata per tutt’altri scopi, e con le più sofisticate tecnologie elettroniche si costruiscono batterie di razzi capaci di intercettarli. E’ molto più conveniente rendere obsolete le armi esistenti con la tecnologia che con una guerra.
Una tesi che contrasta con la storia. È bastato constatare che c’è un Paese disposto a distruggere due città per evitare che muoiano un milione di suoi soldati invadendo l’isola nemica: e, grazie ai Rosenberg, si sono accumulati numeri insensati di bombe, di silos per nasconderle, di sottomarini per lanciarle; la deterrenza della mad (mutual assured destruction) ci ha dato uno dei più lunghi periodi di pace della storia. I trattati per la riduzione bilaterale si possono scrivere, possono anche portare qualche risultato, finché uno dei contraenti (la Russia di Putin nella fattispecie) non dichiara di considerarsi non più impegnato dal trattato.
È per ricostruire l’impero perduto, non per arricchire gli oligarchi, che Putin ha assalito la Cecenia, poi la Georgia, e ora ci sta provando con il boccone grosso dell’Ucraina: ed è per questo che i Paesi che si sentono minacciati chiedono di entrare nella Nato, che è un patto di mutua protezione e non c’è niente che aiuti più la pace della scelta non già di costruire l’esercito più forte del mondo e metterlo in mano a uno, ma di costruire ciascuno il suo esercito e cooperare per rendere questi eserciti complementari tra di loro. Quella di Putin non è solo un’aggressione militare, ma un attacco deliberato ai valori fondanti dell’Occidente; è per questo che la loro difesa è scritta nei programmi politici di alcuni i partiti che concorrono alle prossime elezioni. E questo sì che dovrebbe essere un criterio per scegliere chi votare.
In medio-oriente, è per consolidare il loro potere che i capi politico-religiosi scrivono nelle loro costituzioni l’impegno a distruggere “l’entità sionista”; è per conquistare potere che i capi dei gruppi terroristi, eredi di quelli che hanno rifiutato la soluzione dei due stati quando gli era stata offerta, diffondono nel mondo lo slogan che non ci debbono più essere ebrei “from the river to the sea”, cioè che proprio non ci debbono più essere. Alcuni partiti sanno che solo eliminando alla radice quell’odio si può far sì che si estendano anche ai palestinesi le condizioni di democrazia e lo sviluppo che Israele ha costruito nei territori che il mondo ha dato a quelli che sono scampati agli orrori del secolo scorso (e di quelli precedenti). E anche questo può essere un criterio per scegliere chi votare.
Non farò l’esame che Rovelli, a pochi giorni dal voto, ha fatto dei programmi dei partiti. Credo che sia facile vedere chi, rifuggendo dai facili populismi, ha il coraggio di dire che è necessario difendere, e se del caso difendersi, dagli aggressori e dai terroristi.
Partiti e conflitti: la «pace» nei programmi
di Carlo Rovelli, Corriere della Sera – 6 giugno 2024
Sulle pagine di questo giornale ho spesso difeso, anche controcorrente, l’opinione che abbiamo bisogno di leader e programmi politici che mirino ad abbassare, anziché alzare, il livello di scontro internazionale. Ritengo che in una situazione di conflittualità globale crescente, demonizzazione reciproca, spese militari che esplodono, rischio di catastrofe nucleare che si avvicina, crisi climatica, e instabilità alimentata da diseguaglianze economiche mai prima viste, abbiamo bisogno di leader politici dalla mente fredda, che riconoscano che gli interessi comuni dell’umanità devono venire prima degli interessi di parte, se vogliamo evitare disastri. Il cittadino singolo ha poca voce in capitolo sulle grandi scelte politiche internazionali, se non nel momento del voto. Il voto per il parlamento Europeo è una delle rare occasione per mandare ai politici almeno un piccolo segnale, una richiesta.
In questo spirito, ho sfogliato i programmi che i diversi partiti politici italiani hanno reso pubblici in vista delle prossime elezioni, e provato a confrontare le rispettive posizioni in merito. L’ho fatto senza considerare ideologie politiche o immagini pubbliche di singoli personaggi politici, o gruppi. Sulla base dei soli programmi, questo che segue è il quadro che ne ho tratto.
Tutti i partiti politici usano con enfasi la parola «pace», spesso anche nei titoli di capitoli del loro programma. La parola pace è di moda. Ma «pace» è intesa in modo diverso nei diversi programmi. Per alcuni, la pace va cercata vincendo guerre, debellando, punendo, o contenendo il nemico, diventando più forti degli altri. L’assunzione è che i giudici e gli arbitri del mondo dobbiamo essere noi e i nostri alleati, e non il consesso dei popoli, le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea e la voce del Segretario Generale, delle Nazioni Unite, e la legalità internazionale difesa da istituzioni come la Corte Internazionali di Giustizia, a cui abbiamo sottoscritto. Ritengo, come tanti altri nel mondo, che questa interpretazione di «pace» nutra la crescente conflittualità, avvicini il rischio di una Terza Guerra Mondiale, giochi con il fuoco nucleare. Fra i partiti che interpretano pace in questo senso c’è uno dei partiti che spesso ho più volte votato nel corso della mia vita: il Partito Democratico.
Sul sito di Fratelli d’Italia non ho trovato un programma specifico relativo a queste elezioni. Posso interpretare questa assenza anche come scelta di serietà: il programma resta quello concordato nel 2022 per la coalizione di governo, questo presente sul sito. Anche questo programma non mi sembra andare nella direzione di cercare di diminuire le tensioni internazionali. Al contrario, contiene un esplicito riferimento all’aumento delle spese militari.
È simile la posizione di Forza Italia, che nel programma ha il rafforzamento della Nato e il potenziamento dell’industria della difesa. La Nato ha una forza militare largamente soverchiante nel mondo, con una spesa militare totale più che dieci volte superiore a quella russa: data questa sproporzione, un rafforzamento non ha certo funzione difensiva, anche se presentato come tale. Forza Italia, da parte sua, si dichiara al «fianco di Israele, presidio democratico». Per qualcuno questa può suonare una strana definizione di un Paese che controlla un territorio dove non permette alla gente di votare per le sue istituzioni.
La Lega si presenta nel suo programma con frasi che suonano più pacifiche. Il programma riconosce esplicitamente il problema della crescente concorrenza tra grandi potenze, e la ridefinizione in corso degli equilibri di potere globali. D’altra parte auspica anche «investimenti […] in tecnologia di difesa», che interpreto come un modo di chiamare l’aumento delle spese militari. Se mi sbaglio sarò corretto.
Certo meno bellicoso è il programma del Movimento Cinque Stelle, che auspica invece che gli obiettivi si debbano «raggiungere non attraverso l’uso della forza e dell’intimidazione ma attraverso la diplomazia e la moral suasion». Ancora più esplicitamente: «La difesa comune europea deve essere uno strumento di peacekeeping al servizio delle Nazioni Unite: un Commissario alla difesa non significa un Commissario alla guerra» e «Non è con la guerra che si ottiene la pace».
Decisamente di segno pacifista è l’Alleanza Verdi Sinistra che scrive nel programma che «Evitare la guerra, rimuoverla dalla storia, dovrebbe essere il primo pensiero della politica» e chiarisce che: «La stanno chiamando “difesa europea”, ma di fatto [è] mettere in campo un enorme finanziamento delle industrie belliche nazionali».
Infine, l’urgenza di fermare guerre e massacri è il centro del programma elettorale di «Pace Terra Dignità», il partito che più ha fatto propria l’attenzione al pericolo del dilagare attuale della guerra, ai massacri in corso, e alla necessità di andare verso risoluzioni dei conflitti, anziché cercare di prevalere sui nemici. «Pace Terra Dignità» ha incluso nel programma elettorale la proposta dell’obiettivo di un negoziato globale per una riduzione bilanciata globale delle spese militari, destinando una parte delle risorse così liberate ai problemi comuni, come il riscaldamento climatico. È una proposta sulla quale mi ero impegnato alcuni anni fa. Oggi non è più plausibile, per l’aumento dei conflitti, ma conservarla come ipotesi a lungo termine tiene aperta la speranza di poter tornare a parlare di cooperazione anziché di conflitto. È questa una direzione generale che l’Italia, nel contesto delle sue alleanze, potrebbe difendere.
A me sembra che più che per gli equilibri politici del parlamento di Strasburgo, o italiani, questa sia un’occasione per manifestare accordo o disaccordo con le scelte globali delle leadership occidentali. A ciascuno di noi, indipendentemente dai diversi orientamenti politici, il compito di valutare queste alternative, molto divergenti, e la responsabilità di scegliere quale piccolo segnale possiamo mandare con questo voto europeo, a chi, nel contesto del suo gruppo e delle sue alleanze, dovrà partecipare a scelte da cui dipende il futuro di noi tutti.
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giugno 8, 2024