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→  settembre 17, 2016


Le operazioni che hanno per protagonisti la Banca Popolare di Milano (Bpm) e il Banco Popolare sono di eccezionale importanza.
Perché, nel tormentato quadro del nostro sistema bancario, tra banche venete da salvare e banca toscana da risanare, tra capitali da raccogliere e sofferenze da vendere, questa è l’unica operazione apparentemente con il segno più. Perché queste sono, per dimensione e storia, le due principali banche della Lombardia. Perché così si vuole porre fine al sistema che si reggeva sul voto capitario, e che consentiva il potere delle sigle sindacali all’interno e l’influenza della politica all’esterno: le ragioni cioè che mi indussero a dare le dimissioni da consigliere della Bpm, e di cui diffusamente scrissi su queste colonne.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  settembre 17, 2016


La commissione-esattrice e il sogno di riformare il fisco americano brandendo la mela

Un miliardo! Tanti sono gli iPhone venduti nel mondo da quel 2007 in cui Steve Jobs ne lanciò la prima versione. Quando sullo schermo del Keynote Apple a San Francisco dove il suo successore Tim Cook ne presentava la settima versione sono apparse quelle dieci cifre, credo che nessuno, né tra quelli che applaudivano in sala né tra quelli che seguivano l’evento in streaming sul proprio computer, abbia avuto il minimo dubbio su dove sia nata l’idea, dove si sia realizzato il prodotto, quale sia stato il centro che ha attratto nella sua orbita migliaia e migliaia di applicazioni, chi ci sia stato dietro il succedersi dei perfezionamenti di un oggetto che ha cambiato il nostro modo di comunicare, di lavorare, di rapportarci agli altri. E quindi dove si realizzi l’alchimia che trasforma scatolotti di metallo, plastica ed elettronica, comperati in giro per il mondo e assemblati in Cina per pochi dollari, in prodotti che i consumatori sono pronti a pagare anche il doppio di quelli dei concorrenti.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  settembre 17, 2016


La commissione-esattrice e il sogno di riformare il fisco americano brandendo la mela

Un miliardo! Tanti sono gli iPhone venduti nel mondo da quel 2007 in cui Steve Jobs ne lanciò la prima versione. Quando sullo schermo del Keynote Apple a San Francisco dove il suo successore Tim Cook ne presentava la settima versione sono apparse quelle dieci cifre, credo che nessuno, né tra quelli che applaudivano in sala né tra quelli che seguivano l’evento in streaming sul proprio computer, abbia avuto il minimo dubbio su dove sia nata l’idea, dove si sia realizzato il prodotto, quale sia stato il centro che ha attratto nella sua orbita migliaia e migliaia di applicazioni, chi ci sia stato dietro il succedersi dei perfezionamenti di un oggetto che ha cambiato il nostro modo di comunicare, di lavorare, di rapportarci agli altri. E quindi dove si realizzi l’alchimia che trasforma scatolotti di metallo, plastica ed elettronica, comperati in giro per il mondo e assemblati in Cina per pochi dollari, in prodotti che i consumatori sono pronti a pagare anche il doppio di quelli dei concorrenti.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  settembre 9, 2016


Su scala planetaria, al G20, a prendere la scena sono stati l’intesa sul clima con la Cina e la gelida stretta di mano tra Barack Obama e Vladimir Putin; a livello locale, nel Meclemburgo, la sua politica per i rifugiati le è costata l’umiliazione
di venir scavalcata dall’AfD. Ma se si ritorna al livello europeo, e ai problemi europei, è sempre Angela Merkel il punto di riferimento. Dopo l’incontro di Ventotene con Hollande e Renzi, in una settimana aveva incontrato, nell’ordine, i leader dei Paesi baltici, del gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), dell’Europa settentrionale e dell’Europa centrale; se si considera che Hollande e Renzi rappresentino gli altri Paesi dell’Europa meridionale, il giro è completo. Tanto attivismo esautora o surroga Bruxelles? Nasconde un disegno egemonico, o cerca di ricomporre le divisioni che attraversano l’Europa? E si erano sentite le solite voci: ci vorrebbero gli Stati Uniti d’Europa, il presidente del Parlamento europeo eletto con voto diretto, il metodo comunitario in luogo di quello intergovernativo previsto da Maastricht.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  settembre 3, 2016


Franco Debenedetti tra i firmatari della lettera aperta a sostegno del libero scambio promossa da The Adam Smith Society.

Contro i teorici della chiusura. Contro i sabotatori dei trattati di libero scambio. Contro i nemici del mercato. Nasce un manifesto trasversale per la difesa della società aperta e del libero commercio. Qui le prime firme.

La liberalizzazione del commercio e degli investimenti a livello globale è stata per decenni uno dei motori principali di crescita e progresso sia nei paesi sviluppati che in quelli cosiddetti emergenti. I benefici del libero scambio sono stati messi in risalto da vari economisti nel corso dei secoli, da Adam Smith a David Ricardo agli studi di Heckscher-Ohlin e Marc J. Melitz. Dopo una lunga fase in cui ha prevalso l’approccio multilaterale, negli ultimi anni il congelamento del round negoziale di Doha all’interno del WTO ha stimolato la conclusione di accordi bilaterali a carattere preferenziale, nonché accordi di cosiddetta “nuova generazione” come quello concluso tra Unione Europea e Canada (CETA) e quello ambizioso in corso di negoziazione con gli USA: il TTIP.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio, Varie
→  agosto 20, 2016


Da cosa viene il “fascino (non) discreto” di Telecom per i governi? Con le aziende privatizzate, sia completamente – autostrade, aeroporti – sia parzialmente – Enel, Eni – i problemi sono di regolamentazione e di prezzi. Finmeccanica agisce nel quadro delle norme in un settore delicato come la difesa. Di banche e di acciaio, non ci fossero i crediti deteriorati e i problemi ambientali, il governo farebbe volentieri a meno di occuparsi. Anche nella telefonia, sono autorità indipendenti a stabilire tariffe, e a vigilare sulla concorrenza. Solo per Telecom le cose sono diverse: come se i governi, tutti i governi a partire da quello Prodi che ne decise la vendita nel 1998, non sappiano adattarsi all’idea di non controllarla più. Comportandosi come se non fosse mai stata veramente venduta, finiscono per dar ragione a quanti considerano quella di Telecom una pessima privatizzazione.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore