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→  maggio 18, 2019

Intervista di Antonio Gnoli

La fuga in Svizzera nel 1943 per salvarsi dal nazifascismo, la laurea in ingegneria e la passione per la musica. Il lavoro in Olivetti con il fratello Carlo e la volta che dissero no a Steve Jobs: “Sbagliammo? Oggi è facile dirlo, ma era un modello non esportabile in Italia”


Le Tappe
La famiglia
Franco Debenedetti nasce nel 1933 a Torino. La famiglia paterna appartiene alla comunità ebraica di Asti e nel 1943 si rifugia in Svizzera.

La politica
Dopo la laurea in ingegneria, lavora nell’azienda paterna, alla Fiat e poi all’Olivetti. Nel 1994 viene eletto al Senato, vi rimarrà dodici anni

I libri
Tra i suoi titoli: Scegliere i vincitori, salvare i perdenti (Marsilio), La guerra dei trent’anni, scritto con Antonio Pilati (Einaudi), Il peccato del professor Monti (Marsilio)

Con quel ciuffo, che pare un’onda bianca che si infrange sullo scoglio, Franco Debenedetti conserva tracce giovanili. È magro, alto, con mani grandi e polsi da catena di montaggio. Franco è il fratello di Carlo De Benedetti, presidente onorario del Gruppo Editoriale Gedi, proprietario di Repubblica:«Abbiamo lavorato a lungo insieme, momenti entusiasmanti, e anche duri. È la vita dell’imprenditore, satura di rischi», dice Franco. Chiedo se lui si senta imprenditore. Mi guarda perplesso poi precisa: «Preferisco definirmi un teorico dell’impresa. Ho scritto libri sulla politica industriale, detestando e criticando il modo con cui spesso è stata gestita».

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Pubblicato In: Giornali, La Repubblica
→  maggio 17, 2019


Al direttore.

Vent’anni fa le grandi banche svizzere accettarono di versare $1,25 miliardi ai sopravvissuti ai campi di sterminio per chiudere la vertenza sui fondi di giacenza di superstiti dell’Olocausto o dei loro discendenti. Le banche erano incolpate di non aver ricercato o di non averlo fatto con adeguati mezzi e impegno, gli aventi diritto, se c’erano, di quei fondi. Fondi dormienti sono anche quelli depositati presso le banche italiane. Ovviamente nessun paragone, ma solo analogia in una questione giuridica.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  maggio 14, 2019


Quando vincono le priorità della politica

Non aver mantenuto sotto controllo pubblico la rete delle telecomunicazioni è l’argomento principe di coloro che considerano la privatizzazione di Stet (Società finanziaria telefonica s.p.a) un grave errore. Non si è persa nessuna occasione per cercare di porvi rimedio: prima, quella di vendere la rete per ridurre il debito, col piano Rovati; poi, quella di completare una società delle reti, mettendola insieme a Terna e Snam; infine, quella di colmare un ritardo del nostro paese nel dotarsi di una rete a banda ultralarga. L’Europa aveva fatto della connessione veloce a Internet una priorità, ponendo un duplice obbiettivo entro il 2020: dare al 100 per cento della popolazione connessione a 30Mbps e avere il 50 per cento popolazione attivamente connessa a 100Mbps. Una lettura drammatizzata della situazione italiana offre all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi la possibilità di dimostrare che lui risolve problemi che altri hanno lasciato trascinarsi: dopo l’Ilva, in stallo con l’Europa la partita banche, è la volta della banda larga. Inizia così una vicenda controversa: ora che se ne delinea il possibile esito, conviene ripercorrerne le tappe e valutarne i risultati.

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Pubblicato In: Giornali, Varie
→  maggio 8, 2019


Al Direttore.

La chiamano “porn law”: è la legge per evitare che i minorenni possano accedere a siti con contenuti per soli adulti; dovrebbe consentire al Regno Unito di diventare “il posto più sicuro per essere online”. Prevede che a quei siti si possa accedere solo esibendo dati di documenti (passaporti, patenti, carte di credito). A parte l’efficacia del provvedimento (i giovanetti che hanno messo a profitto gli insegnamenti digitali non avranno difficoltà ad aggirarlo usando i Virtual Private Networks; gli altri potranno accedere tramite i social, a cui la norma per il momento non si applicherà) ci sono i rischi derivanti dal mettere in rete dati che consentono di identificare persone adulte. Una delle aziende private che dovranno verificare questi dati appartiene a una società che possiede anche i maggiori siti pornografici; i dati degli utenti potrebbero venire collegati alla loro cronologia di ricerca, e magari rivenduti ad altri.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  aprile 25, 2019


Dai caratteri mobili ai bit. In Europa la tutela della democrazia online deve superare l’approccio vestfaliano

Gli scontri tra sovranisti ed europeisti, moltiplicatisi in vista delle elezioni europee, non si ridurranno granché , qualunque sia il loro esito: i partiti sovranisti avranno difficoltà a collaborare tra di loro, la loro proposta economica continuerà a oscillare tra una improponibile uscita dall’euro e la tentazione di rovesciare il tavolo rinnegando il dogma che vieta la monetizzazione del debito. Più o meno acute, le contrapposizioni continueranno come prima: questo perché, secondo Martin Belov, il comparatista di leggi costituzionali che sul tema ha curato una raccolta di saggi (Global Constitutionalism and the Challenge to Westphalian Constitutional Law), esse sono radicate a un livello molto più profondo della contingenza e degli interessi politici: risultando infatti dalla contrapposizione di due sistemi costituzionali, quello globale e quello vestfaliano. Nel primo, ci stiamo vivendo. Il secondo ebbe origine dal trattato del 1648 che pose fine alle guerre di religione in Europa, e che, sancendo il principio della sovranità assoluta degli Stati nei propri confini (“cuius regio eius religio”) consolidò la grande invenzione europea, lo stato-nazione.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  aprile 19, 2019


Minitel funzionava nel 1981, il primo uso privato di Internet è di dieci anni dopo. La Programma 101 dell’Olivetti è del 1965, il personal IBM di dieci anni dopo, il Mac quasi di venti. Quaero, il motore di ricerca europeo che doveva far concorrenza a Google e a Yahoo! è del 2005; Qwant gli succede otto anni e molti miliardi dopo, e oggi aspira a prendere il 5% del mercato. Perché oggi l’Europa tra i grandi ha solo Spotify (che vale un ventesimo di Facebook) e SAS (che fa un altro mestiere)? Per capire le cause di questa singolarità è utile confrontare l’apparato ideologico alla base dell’articolo di Fabrizio Barca (12.4 su la Voce.info) con l’ambiente culturale in cui si è formata la società delle piattaforme.

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Pubblicato In: Giornali, Varie