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→  ottobre 28, 2009

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da Peccati Capitali

Pare del tutto infondata l’accusa del Times, che l’Italia avrebbe pagato un capo talebano per non attaccare i nostri soldati: quel capo l’abbiamo fatto fuori noi con i Mangusta. Dato che è una bufala, approfittiamone per fare un discorso astratto, senza tirare in mezzo i ragazzi che combattono una guerra così giusta e così disperata. Chiediamoci: se non fosse una bufala, ci sarebbe da scandalizzarsi? Le guerre si combattono per ideali, ma si fanno per interessi. Con l’interesse si comprano spie, si rompe l’omertà di mafiosi e terroristi; su ricatti e riscatti si tratta per non dover continuare a pagare.
Assoldare capi tribù, usare la loro ambizione per controllare il territorio, lo hanno fatto tutti, Inghilterra e Italia compresi, all’epoca delle colonie: a maggior ragione dovrebbe essere una buona tattica oggi che l’obbiettivo non è dominare ma liberare. Certo meglio che arricchire i talebani lasciandogli il controllo della produzione di oppio a casa loro, e garantendogli alti prezzi con il proibizionismo a casa nostra. Ce la caveremo dicendo, come Roosevelt di Somoza, che i talebani sono tutti figli di puttana, ma che quelli sono i nostri figli di puttana?

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Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair
→  ottobre 22, 2009

Nella trasmissione di Giorgio Dell’Arti, si parla della proposta di Panebianco e di sovvenzioni ai quotidiani

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Pubblicato In: Audio/Video
→  ottobre 22, 2009

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Secondo l’ex senatore Ds, c’è un “portato buono di questi 15 anni”, fatto di una “retorica politica” innovativa

Roma. “Sentita l’ultima sul posto fisso, direi che ora toccherà salvare il berlusconismo da Berlusconi stesso”, dice al Foglio Franco Debenedetti. All’inizio suona grossa, anche se detta da uno che a forza di nuotare controcorrente gli sono venute due spalle così. Liberale e liberista, Debenedetti è da sempre nelle file della sinistra, eletto senatore nel 1994, nel 1996 e poi ancora nel 2001, prima nel Pds e poi nei Ds.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  ottobre 20, 2009

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Il tempo di Berlusconi: un’era è finita

È stato eletto e rieletto perché gli italiani vogliono limitare i sindacati e i pm, pagare meno tasse, scegliere da chi farsi guidare

Dopo l’ultima estate, la fine anticipata del ciclo politico di Berlusconi è parsa diventare una concreta possibilità; è quindi aumentata la tensione a centrare questo obiettivo. Che un ciclo politico così lungo dovesse finire, era scontato. Ma c’è modo e modo. E nel modo in cui la retorica politica sta contribuendo al framing delle particolari condizioni in cui la lunga corsa del Cavaliere verrà a finire, c’è un rischio grosso: corriamo il pericolo di buttar via più di 15 anni della nostra storia.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  ottobre 15, 2009

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Al Direttore

A leggere i giornali italiani, anche quelli grandi, i Nobel quest’anno sarebbero andati ad economisti scettici sulla capacità del mercato di autoregolarsi, dubbiosi dell’utilità delle privatizzazioni, favorevoli all’intervento dello Stato.
La realtà è esattamente il contrario: Oliver Williamson, proseguendo nel solco della lezione Ronald Coase, mostra come sia più efficiente quando è l’impresa e non i regolatori a determinare i limiti di integrazione organizzativa e proprietaria; Elinor Ostrom ricerca quali siano le condizioni in cui soggetti privati trovano intese cooperative senza bisogno di interventi statali.
Proprio vero che ognuno guarda i fatti, e a maggior ragione quelli che avvengono fuori da casa propria, con gli occhiali della propria cultura quando non dei propri pregiudizi.

Franco Debenedetti


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  ottobre 12, 2009

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Dieci grandi esperti indicano i termini più d’attualità e quelli destinati all’oblio

Abs, cartolarizzazione, cdo: quali sono le parole, i neologismi sorti nel corso della crisi economica 2007-2008 cui possiamo dire addio? Quali termini finiranno (o vorremmo vedere finire) nel cassetto, nella speranza di non dover fare più i conti con il loro significato negli anni a venire? E quali termini invece potrebbero tenerci compagnia nei prossimi anni, arricchendo il dibattito e il nostro vocabolario quotidiano? L’abbiamo chiesto a dieci dei maggiori economisti italiani. A ognuno è stato domandato di individuare due termini, nati sulle labbra degli esperti per arrivare sulla bocca della gente comune, che abbiamo contrassegnato – nel male, quindi “out” – e siano destinati a contrassegnare – nel bene, quindi “in” – l’evoluzione dei cicli economici trascorsi e futuri. Parole da cui liberarsi quasi fossero zavorre, insomma, e vocaboli cui attaccarsi nella speranza che i sistemi economici siano più solidi e vigilati di un tempo. La risposta? Meno scontata di quella che si possa immaginare, come si può vedere dalle loro testimonianze raccolte qua sotto.

a cura di Luca Davi

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore