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→  settembre 25, 2013


Le alternative

Non è giunta come una sorpresa l’offerta di Telefonica di aumentare la propria quota in Telco, diventandone il primo azionista: non è che un’azienda compera il 40% del controllo di un suo concorrente e poi resta ferma per sempre. Ma quando sui giornali gli articoli sulla Telecom contendono lo spazio a quelle su Alitalia, e pochi giorni prima a quelli sulle aziende a partecipazione pubblica o dei rami di azienda che il governo Letta intende mettere in vendita, allora è impossibile non vedere il filo rosso che unisce tutti questi avvenimenti: stiamo assistendo a un ulteriore capitolo del processo di privatizzazioni. E allora è impossibile resistere alla tentazione di autocitarsi: dopo 22 anni, conto sulla prescrizione. “Perché non fare un inventario di tutte le aziende o rami d’azienda [interne ai macrosettori delle PPSS] che potrebbero essere convenientemente isolate e vantaggiosamente vendute?” Era il luglio del 1992, lo scrivevo sul Sole24Ore, che, con efficace enfasi, aveva titolato il mio pezzo “Vendiamo i bonsai di Stato”. In USA si stava dimostrando quanta efficienza economica ci fosse da guadagnare e quanto valore finanziario da estrarre smontando le conglomerate. Da noi c’era una ragione in più per farlo, noi avevamo bisogno di creare un mercato là dove non c’era: le privatizzazioni non potevano ridursi a un passaggio di proprietà, dal pubblico al privato. Nelle Partecipazioni Statali si erano formate aggregazioni che non rispondevano a logiche di mercato, erano state fatte per accrescere il potere, per salvare aziende, per occupare persone: quei legami andavano smontati.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  settembre 22, 2013


Intervista di Paolo Nessi

Non ci saranno privatizzazioni pari a un punto di pil, obiettivo fissato dal governo Monti, ma la metà. Ovvero, si passa da 15 miliardi di euro a 7,5. Questo è ciò che emerge dal Documento di Economia e Finanza (Def) emanato dal governo. Oggetto della vendita, restano le quote di partecipazione statale in aziende come Poste Italiane, Eni, Enel, Finmeccanica e Fincantieri. Franco Debenedetti, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni, ci spiega cosa ne pensa delle manovre del governo.

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Pubblicato In: Varie
→  settembre 20, 2013


Al direttore.

Accanto ai tanti articoli sulla Germania, un piccolo aneddoto raccontato da Heinrich Heine. Aveva nove anni quando vide Napoleone entrare a cavallo in Düsseldorf, 6.000 abitanti, 570 ebrei. Da allora, per alcuni anni, anche la storia tedesca vi fu insegnata in francese. “Henri, qual è la parola francese per Glaube?” gli chiese il maestro. “Le crédit”, rispose il ragazzo, “le crédit” ripeté, alfine piangendo. “La réligion!” esclamò l’insegnante, e lo percosse con la verga.

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Pubblicato In: Giornali, Il Foglio
→  settembre 13, 2013


La notizia cattiva è che Lehman è fallita, quella buona è che lo Stato non è intervenuto per salvarla: fummo in pochi a pensarla così, quel 15 settembre di cinque anni fa. Poi, quando il Dow Jones arrivò a perdere il 43%, nella sola America si volatilizzarono 6,3 milioni di posti di lavoro, e il Pil Usa scese del 3%, le critiche da pioggia diventarono grandinata. Chi aveva ragione? A cinque anni di distanza, credo che quel giudizio fosse giusto: è stato un bene lasciar fallire Lehman, anche se non solo, e forse neppure principalmente, per i motivi cari ai pochi che lo espressero.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore
→  settembre 9, 2013


Intervista di Antonio Galdo

Franco Debenedetti: difficile ipotizzare una soluzione politica dopo tanti veleni contro il Cav.

«Ci sono tre problemi che si sovrappongono nel voto della Giunta parlamentare chiamata a votare sulla decadenza di Berlusconi: le conseguenze della sentenza della Corte di Cassazione, il futuro del Partito democratico, la sorte del governo Letta»: Franco Debenedetti utilizza l’arma della razionalità per descrivere l’Italia politica, e non solo, sospesa ancora una volta sul vicende giudiziarie del suo ex premier.

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Pubblicato In: Varie
→  settembre 6, 2013


Gli accordi di libero scambio, come potrebbe essere quello transatlantico se andasse in porto, consentono operazioni che recano vantaggi ai consumatori. Giorgio Barba Navaretti («I confini delle imprese», Il Sole24Ore del 4 settembre) coglie al volo la singolare coincidenza tra la scomparsa di Ronald Coase e le due mega operazioni, l’acquisto dei telefonini Nokia da parte di Microsoft e il riacquisto da parte di Verizon della quota detenuta da Vodafone in Verizon stessa, per spiegarne la ratio alla luce della teoria dei costi di transazione, uno dei contributi maggiori per cui Coase è stato insignito del Nobel. Vale però anche l’inverso: se l’abolizione delle barriere tra aree economiche porta vantaggi, a mantenerle si rischia di «restare con un palmo di naso». È quello che, se non perdiamo le cattive abitudini, potrebbe capitare a noi.

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Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore