Nuove ricette anzichè accuse

febbraio 3, 2004


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Lettera del Sen. Debenedetti al Corriere

Alberto Ronchey sul Corriere di sabato (“La doppia Italia degli antagonismi”) rilancia al centro sinistra l’accusa di non aver saputo, nel quinquennio in cui è stato al governo, risolvere il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi.

Tuttavia, e schematizzando: 1 – esiste un solo modo per farlo in modo chiaro, senza strascichi e sospetti, con la vendita di Mediaset a un soggetto veramente estraneo; 2 – l’obbligo a vendere è, secondo molti giuristi, un esproprio: costituzionalmente dubbio, e sarebbe politicamente devastante per una coalizione di sinistra, che diventerebbe bersaglio alle accuse di “avere conservato in larga misura l’originario DNA” comunista; 3- una legge che lo imponesse sortirebbe effetti opposti a quelli che si prefigge. Alla luce di queste considerazioni resta secondo me dunque atto di saggezza l’approvazione solo virtuale della legge compiuta allora, a opera di un solo ramo del Parlamento.
E’ un’illusione ottica sopravvalutare l’importanza numerica dei consensi che Berlusconi perde a causa del conflitto di interessi. C’è al contrario da chiedersi se esso addirittura non gli giovi: è il panno rosso del suo potere mediatico che unifica tutte le anime della sinistra nel nome dell’antiberlusconismo, ridando un po’ di corpo all’ormai usurata accusa di essere tutti dei comunisti. E’ anche perché questa diventa l’obbligata professione di fede, perché il prepolitico finisce per delimitare lo spazio politico dell’opposizione, se le voci moderate e riformiste hanno difficoltà a sovrastare quelle per cui ogni proposta è vista come collusione con il nemico. Così “ogni controversia é una disputa insanabile” come lamenta Ronchey. Di fronte all’inconcludenza e alle ambiguità del governo, che si tratti di lavoro, di pensioni, di Irak, di tasse, adesso – a quanto par di capire- di tutela del risparmio e finanziamento delle imprese, l’opposizione ha molti argomenti da mettere in campo, assai più convincenti e più vicini agli interessi degli elettori che non il conflitto di interessi.

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