L’hanno (o si è) paragonato a De Gasperi, Cavour, Napoleone; gli sono cresciuti i capelli e ha fatto scendere lava dalle colline: ma per fare Berlusconi immortale ci andava il genio di Marco Travaglio e la proposta lanciata sull’Unità per “risolvere” il problema del conflitto in capo a quello che chiama il «furbetto d’interessi».
Lasciamo agli inciucisti, scrive Travaglio, agli infidi allestitori di «piatti immangiabili prendere o lasciare tipo indulto», lasciamo agli smidollati legalisti parlare di blind trust, di incompatibilità con la carica. L’accusa di Fassino, di criticare il ddl in preparazione prima di averlo letto, non lo tange. Lui lo sa benissimo, che su quella strada ci si infogna in contraddizioni, che si rischia di alienarsi amici senza colpire i nemici, che l’Italia del controllo familiare non è l’America delle public company, e che quindi si finisce con un provvedimento che non sarà l’acqua fresca della Frattini, ma se va bene è un disinfettante. E quindi gioca d’anticipo: l’accetta ci vuole, per chiudere la partita, dichiarare Berlusconi ineleggibile in quanto titolare di concessione pubblica. Anzi la bipenna: se, novello Houdini, riuscisse a liberarsi con qualche trucco societario anche di questa camicia di forza, raddoppiamo la marcatura levandogli una delle sue reti. Così prendendo due piccioni con una fava, i volatili essendo Frattini e Gasparri, rectius, le leggi legate ai loro nomi. Torniamo al 1996, all’esecrata Bicamerale, all’imbelle legge Maccanico: fermiamo il tempo e raggiungiamo l’immortalità.
Begli anni, quelli! Mentre alcuni bicameralavano, c’era chi gettava le basi dell’antiberlusconismo militante, al posto di quello un po’ arruffone della «gioiosa macchina da guerra». Allora, accusa Travaglio, la sinistra di governo perse l’occasione di far valere il criterio di non eleggibilità di Berlusconi. Non perdona chi esitò a negare, in nome di una vecchia norma amministrativa, un diritto solennemente garantito dalla Costituzione (parte prima!) a ogni cittadino, chi si fermò temendo di sporcarsi con una macchia indelebile di antidemocraticità. Travaglio non ha codesti scrupoli: se il tempo si è fermato, se siamo ancora nel 1996, che cosa non si farebbe per evitare il quinquennio berlusconiano?
Eppure nel 2011 Berlusconi viaggerà per i 75 anni, Bossi da un par d’anni si dedica all’assistenza agli extracomunitari, Fini e Casini continuano a scalpitare il loro tip tap: chi, seriamente, può pensare che sia questo l’inizio di un regime? Chi, dopo Parma 2001 e Vicenza 2006, può veramente paventare un’ipotetica Verona 2011? I Travaglio lo sanno benissimo, ed è proprio questa prospettiva che devono scongiurare: perché solo l’assolutezza del male può far diventare virtù il suo contrario, solo il timor panico del male può far passare per strategia politica il mero resistervi. Per questo ci vuole una legge che, con la sua perennità, renda Berlusconi immortale, e ci protegga per tutti gli anni a venire dai pericoli dell’eterno berlusconismo reale. Si deve fermare il tempo: il 1996, non il 2011.
Stessa cosa per l’altro braccio della tenaglia che completa e sigilla il dispositivo predisposto da Travaglio: sottrarre a Berlusconi una delle sue tre reti, dando così finalmente applicazione alla sentenza della Corte costituzionale. Anche lì il presupposto è la fissità del tempo, un balzo indietro addirittura al 1975. Alla fine naturale della legislatura, nel 2011, sarà passato un terzo di secolo, staremo completando il passaggio al digitale terrestre e ai suoi 50 canali, sarà enormemente aumentata la diffusione della tv via satellite, telefonino, Internet: saremo sommersi dall’offerta. Ma per i Travaglio bisogna che il mondo resti fermo al 1975 e alla teoria – già allora arbitraria – delle frequenze come bene scarso. Internet, stando a quanto prevede l’Economist di venerdì scorso, avrà ulteriormente ridotto copie e ricavi pubblicitari dei quotidiani di tutto il mondo: ma ci sarà chi continuerà a sostenere che da noi è diverso, e che in Italia è il duopolio che sottrae risorse pubblicitarie ai quotidiani. Nel 2011 continueremo ad aver bisogno di credere che Emilio Fede trasmesso in analogico sia un pericolo per la democrazia.
La politica ridotta ad antiberlusconismo si accanisce su Berlusconi, ma deve lasciarlo in vita. Allo stesso modo la tv di Berlusconi deve, seppur mutilata, esistere, affinché resti la tv dei partiti, la Rai. Proprio quelli che accusano Berlusconi di aver usato le televisioni per fare politica, ora usano la politica per tracciare il blueprint degli assetti del mercato televisivo. La cosa che più aborrono della Gasparri non è il famigerato ma innocuo Sic, bensì l’aver sottratto alla politica, e consegnato alle autorità indipendenti, il compito di individuare e sanzionare posizioni dominanti e lesioni della concorrenza: Di avere decretato la fine dei «piani regolatori», dopo che nel settore delle banche, anche in quello delle televisioni.
Marco Travaglio sa bene che anche la tenaglia ineleggibilità-sottrazione di una rete lascia qualche spiraglio. Veramente definitiva sarebbe l’incandidabilità: perché solo vietando di mettere il nome sulla scheda si può evitare di dichiarare ineleggibile un candidato che abbia avuto la maggioranza dei voti. Travaglio non la propone, e non perché una simile prospettiva sia troppo perfino per lui: ma perché sa che, col paletto di frassino conficcato nel cuore al vampiro, il gioco finirebbe davvero.
settembre 1, 2006