Non possiamo rassegnarci al gioco dei nove. Candidato riformista, se ci sei batti un colpo

luglio 5, 2005


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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PRIMARIE. PERCHÉ È NECESSARIO CONCORRERE

«Scegliamo il leader del centrodestra con le primarie» dice Marco Follini al congresso dell’Udc: e Berlusconi esce dalla sala in gran dispitto. Se la proposta di presentare un candidato riformista alle nostre “primarie” non l’avessi fatta uscire sul Corriere della sera, ma in pubblico, e in sua presenza, non credo che Prodi avrebbe fatto lo stesso, anzi credo che avrebbe reso palese il suo consenso.

A una settimana di distanza, la proposta di Follini, opposta quanto a obiettivi, è utile per approfondire le ragioni politiche della mia. Più che opposti, sono a 180 gradi. Noi guardiamo al modo di chiudere la parabola di Berlusconi nel 2006; Follini a come ricostruire il centrodestra dopo che la parabola si sarà chiusa, probabilmente non prima del 2011. Per Follini il problema è il ricambio della leadership, per me ne è il rafforzamento. Per Follini le primarie devono indicare la persona che guiderà la coalizione; per noi le “primarie” devono prendere le misure delle forze antagoniste nella coalizione, cioè di Rifondazione. (Pecoraro Scanio e Di Pietro lottano per la sopravvivenza, Mastella ha l’occhio a fenomeni, diciamo così, locali). Le nostre “primarie” sono una nuova forma di metafora, la parte contro il tutto: il capo di un partito, che è parte dell’Unione, contro il suo leader, che riconosce e accetta.
Le “primarie” a ottobre; la conferenza programmatica – se pur producesse qualcosa di comunicabile a tutti e non tesi destinate a pochi – a dicembre. Due mesi cruciali in cui l’identità politica dell’Unione si presterà a due sole letture: Prodi cerca di arginare Bertinotti; oppure: Bertinotti condiziona Prodi. Un invito a nozze per gli avversari; un motivo di perplessità per chi vorrebbe la certezza che noi saremo capaci di mettere in ordine quello che Berlusconi ha scassato. Lo ha espresso con chiarezza – per citare l’ultimo in ordine di tempo – Alessandro Profumo, sabato scorso, quando ha chiesto a Pierluigi Bersani e a Vincenzo Visco quale modello il centrosinistra intendesse adottare su liberalizzazioni e norme di mercato. Come dargli torto? Che struttura di governance abbiamo da esibire? Il tavolo dell’Unione, nove partiti con diritto di veto? Chiunque capisce che quello è un modo, forse, per arrivare alle elezioni, non certo per governare. Le “primarie”, con sopra le “figurine” di Prodi e Bertinotti? Evidentemente non è una risposta considerata sufficiente. E quanti in Italia nutrono le stesse preoccupazioni?
Saremmo più forti, se Prodi potesse esibire, accanto ai suoi, i consensi raccolti da un candidato riformista; gli sarebbe più facile mettere a tacere gli avversari e convincere i perplessi. E’ stato deciso di fare le “primarie” mettendo in campo non idee ma simboli, il solo modo per farlo è aggiungere una “figurina”, un candidato che, con la sua faccia, la sua storia, la sua notorietà, sia riconosciuto come riformista senza bisogno di spendere molte parole. Un candidato che raccolga voti non per sottrarli a Prodi, ma per portarglieli, preziosi e pesanti. Preziosi per rispondere alle perplessità di chi dobbiamo conquistare; e pesanti, per rendere impraticabile all’Unione contraddire nei fatti l’indicazione ricevuta. Un candidato che, come scrivevo nella mia lettera, arricchisca dall’interno la leadership dell’Unione, anziché, come intende fare Bertinotti, cerchi di condizionarla dall’esterno. Certo, non è facile trovare un candidato che abbia queste caratteristiche, che abbia voglia di rischiare in una scommessa che ha come posta in gioco non una carriera governativa, ma l’obiettivo, ben più ambizioso, di dare un’impronta riformista al profilo politico della coalizione. E’ solo per questa ragione che la mia proposta ha ricevuto moltissimi consensi individuali, ma nessun seguito politico? Eppure è l’unica proposta riformista oggi sul tavolo. Se neppure ci si prova, a dargli seguito, vuol dire che prevale un’altra visione strategica. E cioè che, essendo non resuscitabile la Fed, e ingestibile il tavolo dei nove con diritto di veto, la governance del centrosinistra consisterà sostanzialmente in una diarchia Ds-Margherita, senza specializzazione di ruoli, ma con competizione a tutto campo, e che quindi il riformismo sarà (o potrà essere?) la risultante della collaborazione – competizione all’interno della diarchia. Un po’ troppo consolatoria, questa teoria dell’inevitabile avvento del riformismo. Per chi è convinto che il riformismo sia l’hic Rhodus su cui si giocano, oggi, le sorti non del centro sinistra, ma del paese, non sembra una soluzione con cui mettersi il cuore in pace senza prima averle provate tutte.

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