Il rischio della perdita di consenso
È dal 1994 che si discute di conflitto di interessi e di come regolarlo per legge. Ora è iniziato il dibattito in aula sulla nuova proposta dell’Unione. E ci si accorge che, mentre il titolo della legge è sempre quello, l’obbiettivo che essa persegue è radicalmente cambiato. Manco a dirlo, in senso opposto a ciò che è successo in questi anni, in campo politico ed in campo economico.
Nel 1994 a preoccupare, molto e non solo nel centrosinistra, era la concentrazione in capo a una stessa persona di potere politico e potere mediatico. Il timore era che il controllo di tutta la televisione, quella privata per diritto di proprietà, quella pubblica per dovere di amministrazione, potesse influenzare il voto degli elettori e alterare il gioco democratico.
Nel 2001, l’Ulivo fece approvare il suo disegno di legge solo al Senato e solo negli ultimi giorni della legislatura. Per scansare l’accusa di essere una legge ad personam, nel mirino finiva il detentore non solo di potere mediatico, ma in generale di qualsiasi grande potere economico.
Nel 2007 basta avere un’azienda con valore superiore a 15 mio € per essere incompatibili a ricoprire cariche di Governo se non cedendo o mettendo in un blind trust la propria impresa: la legge si è “democratizzata”. Ma ciò di cui il legislatore sembra non essersi accorto, è che così è cambiato in modo sostanziale lo scopo della legge: non (solo) evitare che a Palazzo Chigi si insedi un grande “corruttore” della democrazia, ma anche che ci finisca un (piccolo o grande) “corrotto”, che usi il potere a fini di arricchimento personale. Inalterata è solo la pregiudiziale: che sia specializzato o generico, grande o piccolo, il potere economico, sommato al potere politico, rappresenta di per sé un’area di pericolo.
Molte cose sono cambiate, nel contesto politico ed economico, dal 1994 ad oggi.
I risultati elettorali hanno dimostrato che il potere della televisione di influenzare il voto degli elettori è stato molto sopravvalutato: Berlusconi ha vinto due volte le elezioni, nel 1994 e nel 2001, il centrosinistra ha vinto Palazzo Chigi due volte (1996 e 2006). Il determinismo sociologico, quello per cui ci sarebbe proporzionalità tra percentuali, di pubblicità e di voti, per cui diventa presidente degli Stati Uniti chi dispone di maggiori fondi, si dimostra un attrezzo teorico superato.
In questi 13 anni è finito il predominio della TV generalista e dunque del duopolio RAI-Mediaset. A crescere sono satellite, videofonino, Tv via internet, video on demand; e il ritardo nell’avvento del digitale terrestre accentuerà il fenomeno. L’acquisto di Endemol da parte di Mediaset è la prova di quanto sia superata una visione dei rapporti di potere basata sul numero di reti anziché sulla disponibilità di contenuti.
In strutture appena un po’ complesse è difficile definire chi detiene il potere di controllo; lo sviluppo esponenziale di nuovi strumenti finanziari può rendere arduo individuarlo. Le attività industriali non sono come le case e gli alberghi del Monopoli. In un sistema industriale come il nostro, il trasferimento dei poteri di amministrazione a un fondo non é praticabile senza danni. E a dover esser cieco dovrebbe essere non il fondo, ma ogni e qualsiasi osservatore.
Il ciclo politico di Berlusconi nel 2011 volgerà al tramonto, la TV è diventata un’altra cosa, è cambiato il modo di esercitare il controllo delle società. La proposta di legge sul suo “conflitto” è cambiata, ma in senso contrario. Vale allora la pena chiedersi: qual è oggi l’obbiettivo? Quali sono i pericoli da cui il disegno di legge vuole proteggere le istituzioni e la società? Dov’è quella classe padronale che preme per occupare le posizioni di comando e di lì svuotare le casse dello stato a proprio beneficio? Molto si parla di sprechi dell’amministrazione: gli sprechi hanno un beneficiario ma anche un “donatore”. Il “donatore” dirotta soldi dello Stato alla sua personale “impresa”, quella il cui “utile” è il consenso di cui gode, il potere che può esercitare. Oggi e in futuro, magari anche dopo la fine del mandato. Invece, a prevalere è l’idea che il beneficio personale è solo quello economico, e quello in termini di potere è meno grave e forse scusabile. <>Negli anni 1996-2001, quando a preoccupare era il potere mediatico di Berlusconi, osservavo che la legge sul conflitto di interessi era giusta ma controproducente. Consentendo a Berlusconi di additare nei “comunisti” i nemici dell’impresa e della proprietà privata, e definendo come popolo bue quelli a cui si chiedeva il voto, si rendeva più probabile la vittoria di Berlusconi, che appena arrivato al potere poteva abrogare la legge. Il centrosinistra rischiava di finire nell’area del diagramma di Cipolla riservata a quanti fanno il danno proprio e il vantaggio altrui.
Il progetto targato 2007 trova il modo di far perdere consenso anche tra gli imprenditori. Non certo perché smonti chissà qual machiavellico piano di occupazione cum rapina. Ma perché dimostra di non capire di quali rapporti interpersonali, di quali motivazioni, di quali vissuti si alimenti gran parte delle nostre imprese, soprattutto di quelle piccole e medie. Perché fa di ogni imprenditore che abbia cariche di Governo, un soggetto che è bene tenere sotto osservazione. Daniele Marini, nel suo editoriale sul Sole 24 Ore di mercoledì, parla del “senso di solitudine che gli imprenditori denunciano in misura crescente”. La lista dei “malintesi e pregiudizi tra impresa e politica” rischia di allungarsi.
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maggio 18, 2007