La guerra in Iraq
La sinistra di governo, giudicherebbe “legittima ma sbagliata” una guerra con mandato dell’ONU (Massimo D’Alema); al massimo arriverebbe a “inchinarsi alle decisioni dell’ONU” (Giorgio Napolitano). Il mandato dell’ONU è dunque la linea di difesa che essa oppone al “no senza se e senza ma”, quello del pacifismo dichiarato e quello dell’antiamericanismo sottinteso.
Si tratta, a mio avviso, di una posizione che non fa i conti davvero con l’obbiezione dei pacifisti. Quella dei pacifisti, come tutte le logiche assolute, che si sottraggono alla discussione, è per definizione non confutabile con gli strumenti della logica politica. Al contrario, una valutazione realistica delle necessità e dei rischi, e delle responsabilità che ne derivano, non può dare al consenso dell’ONU un valore assoluto, e pensare di sostituirlo al no assoluto dei pacifisti. Il vero banco di prova della sinistra di governo non è l’accettazione, con manifestazione di maggiore o minore disagio, della decisione dell’ONU. La scelta decisiva è l’atteggiamento da assumere dopo – ripeto: dopo – che gli USA abbiano aperto le ostilità, anche se ci fosse stato un voto contrario del Consiglio di sicurezza.
E’ infatti evidente che, per quanto riguarda le conseguenze pratiche, una volta che gli USA abbiano deciso di fare la guerra, la differenza tra farla con o senza il voto dell’ONU paradossalmente non è grande. E’ più che lecito avere dei dubbi se andare oltre l’esibizione della forza sia “sbagliato” per i rischi eccessivi che ci fa correre: ma non si vede perché i rischi dovrebbero diminuire se l’avallo dell’ONU rende la guerra “legittima”. Mentre è evidente che il rischio è minore quanto più esteso è il supporto su cui può contare l’America. Così come nei mesi e nelle settimane passate, il modo più efficace per costringere Saddam a disarmare sarebbe stato opporgli un fronte senza defezioni, quello sì “senza se e senza ma”. Il cinismo di pensare che, restando “neutrali”, sarà solo l’America a pagare il prezzo, è miope: potrebbero non essere colpiti i grattacieli di Francoforte o i metrò di Parigi, ma, in questo mondo globalizzato, l’onda d’urto non ci risparmierebbe. Come si è visto dopo l’11 Settembre. Ciò che è bene per il nostro paese non può dipendere solo dal voto di 10 paesi, né da come i loro delegati valutano le parole di un anziano signore svedese, per quanto esperto e rispettabile. D’altra parte, tranne che nel caso della Corea, molte sono le guerre fatte senza l’accordo dell’ONU. E non si cancellano, purtroppo, con i moti dell’anima.
“Il bisogno di dare ordine al mondo c’è, dice Vittorio Foa all’Unità; i molti fallimenti che abbiamo alle spalle ci ripropongono una lotta molto dura contro il terrorismo e le sue radici sociali, religiose, etniche”. L’11 Settembre ha cambiato la visione del mondo degli USA: il terrorismo è diventata la nuova minaccia da combattere, come è stata combattuta – e vinta – quella contro l’imperialismo sovietico. E per combatterlo hanno deciso di mettere le mani in un’area dove il terrorismo vive indisturbato, si organizza e si finanzia, contro un dittatore che ha violato 17 risoluzioni dell’ONU (a proposito di guerra preventiva!). L’Irak “se ha pagato qualcosa – nota sempre Vittorio Foa – ha pagato non solo all’ONU e agli ispettori, ma anche alla forza americana”.
Forse verrà accordato ancora un tempo aggiuntivo per gli ispettori. Ma é altamente improbabile che Saddam faccia in 15 giorni quello che non ha fatto in 10 anni. Anche se non bisogna mettere limiti alle risorse della politica, è improbabile che si riesca a mettere in campo un piano non dilatorio, non propagandistico, che possa essere accettato dagli USA. Perché è escluso che gli USA accettino un’umiliazione: per fortuna, perché quella sì che sarebbe la resa al terrorismo. Se le cose dovessero andare come è probabile, l’interesse degli europei è che l’ONU autorizzi l’attacco e che l’Europa stia al fianco degli USA. In caso contrario partirebbe una reazione a catena che toccherebbe tutte le istituzioni che abbiamo costruito e mantenuto nell’ultimo mezzo secolo. L’ONU diventerebbe uno strumento praticamente inutilizzabile. L’Europa perderebbe l’ombrello della Nato, e dovrebbe provvedere alla propria difesa: difficile sul piano economico, improbabile su quello della guida politica. Ripudiato il sodalizio con la maggiore democrazia dell’Occidente, isolata dalla maggiore economia di mercato, le tensioni prodotte dal suo declino dilanierebbero l’Europa: che finirebbe per spaccarsi.
Stare a fianco degli USA dovrebbe essere per l’Europa una scelta di elezione: lo è ancora più adesso. Di fronte alla vastità dello schieramento pacifista, seguire la logica dell’analisi delle conseguenze di lungo periodo, pone la sinistra di fronte a scelte difficilissime. Ma solo non lasciando questi argomenti in mano alla destra, la sinistra si guadagna la credibilità per sostituirla.
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febbraio 15, 2003