Quando gli scossoni di Borsa prendono i titoli di prima pagina, qualcuno può essere indotto a pensare che la new economy sia solo bolla speculativa, quotazioni stratosferiche sottratte alla forza di gravità dei conti economici. Invece la new economy è soprattutto un nuovo settore economico, i suoi prodotti e i suoi risultati possono diventare altrettanto tangibili di quelli della old economy. Se c’è il terreno economico e culturale adatto. Ne è un esempio questa «storia di due città».
Nei giorni scorsi sono apparse le prime pubblicità di Fastweb, la società che offre, prima a Milano e poi in Lombardia, servizi di comunicazione e accesso a internet a banda larga. Fastweb è il prodotto di e-Biscom, la società della net economy andata in Borsa recentemente suscitando qualche polemica e un eccezionale interesse dei risparmiatori: la richiesta è stata oltre 20 volte la disponibilità; il titolo, offerto a , 160 euro, è schizzato oltre 300. Ai corsi di venerdì l’azienda vale 23.000 miliardi. Fastweb realizza quello che proponevo cinque anni fa ai sindaci delle grandi città: attirare imprenditori dando loro la possibilità di innervare la città con fibra ottica e quindi su quella vendere telefonia e televisione, servizi voce dati e immagini. Cinque anni fa Telecom si chiamava ancora Stet, era ancora pubblica, e per rendere difficile la sua privatizzazione aveva annunciato un faraonico piano di cablatura nazionale. Il Comune di Torino, anziché tentare la strada di attirare un privato, giudicò più naturale seguire quella di accordarsi con il monopolista pubblico, ottenendone l’impegno a collegare le principali industrie e banche della città e inoltre i principali uffici pubblici. E anche la rete della regione è servita solo a collegare le Usl. Il progetto è stato realizzato: ma nessuno ne parla, e quindi non promuove consumi privati né iniziative d’impresa.
A Milano il servizio non c’è ancora, ma chi pensa dove impiantare un’azienda sa che potrà disporre di una delle infrastrutture più moderne al mondo. A farlo sapere sono stati anche i quasi tre milioni di risparmiatori che hanno fatto la coda per mettere a disposizione 3.200 miliardi per questo progetto. A rendere possibile l’impresa ha contribuito l’aver collocato sul mercato il 49% dell’Aem, perché la quotazione in Borsa ha reso evidente la necessità di far fare al privato quello che il pubblico non sa fare. E l’Aem, socia di Fastweb al 40%, ha visto il suo valore crescere di 13.000 miliardi. Certo Torino è più piccola, meno interessante per un investitore: ma poteva cercare di essere la prima mentre ora insegue cercando di concludere un analogo accordo con Albaco. E, non a caso, l’Aem è ancora tutta pubblica.
Torino ha dato la priorità alla razionalizzazione del servizio pubblico, per modernizzare le infrastrutture abbiamo scelto la strada dell’accordo tra l’amministrazione pubblica e quello che allora era il monopolista di Stato. Milano invece ha iniziato a privatizzare, ha puntato sulla crescita trainata dal consumo privato, ha dato fiducia a un gruppo di imprenditori nuovi. Torino ha scelto l’investimento produttivo, Milano ha puntato sugli investitori finanziari.
Come disse Mark Twain, «sono le differenze di opinione a far correre i cavalli».
Tweet
aprile 11, 2000