«Osceno» è etimologicamente collegato a scaevus (sinistro) oppure a coenum (melma) dal greco koinon (immondo). In questo senso, per Riccardo Ruggeri, osceni sono il museo Beaubourg e la conferenza di Copenhagen, i premi Nobel dati e quelli ricevuti, i derivati e Goldman sachs, fare l’amore in cima all’Everest e mangiare alle stelle Michelin; oscene sono le parole «dell’establisnment euro-americano che ci domina» e della cultura protestante e giacobina da cui discende. Oscene Parole è il titolo che ha dato alle riflessioni in cui si propone di “decrittarle” cercando «di restare padrone dei pensieri e delle emozioni»: brevi saggi o rapide analisi, 7 al mese per 12 mesi, raccolti in una sorta di diario.
Ruggeri contempla con «riprovazione antropologica», come scrive Oscar Giannino nella prefazione, la decostruzione della cultura in cui è nato, la cultura della classe operaia che Gobetti, nella Torino del primo Novecento, vedeva protagonista di una modernizzazione autentica, opposta a quella estetizzante del futurismo, per cui esaltava Casorati contro Marinetti. Ruggeri del futurismo, ridicolizza la cucina, «per capire qualcosa di Picasso» ci mette 30 anni, e continua a vedere in lui l’opportunista che prima si innamora di De Gaulle e poi si iscrive al Partito Comunista. L’adolescenza, nel senso di periodo della vita in cui si acquisiscono gli strumenti della propria cultura, è arrivata tardi per Ruggeri (a 50 anni, dice, con civettuolo paradosso). Quando la Fiat, dve era entrato da operaio, gli dà incarichi che lo proiettano al vertice di grandi imprese multinazionali, il suo interesse, prima concentrato su come gli uomini interagiscono all’interno delle organizzazioni, si allarga a come essi soggiacciano alla «seduzione del potere», e infine esplode come curiosità vorace di persone e di luoghi, di storie e di tradizioni, di Stradivari e di gianchetti. Così si forma la sua scrittura raffinata e precisa, soprattutto “scoperta”: perchè Ruggeri, a differenza degli «esteti dell’ignominia», ha il coraggio di mettersi sempre in gioco in prima persona.
Ruggeri non ha dubbi: la colpa della crisi finanziaria di questi anni è dell’ingordigia dei banchieri e allo strapotere di Goldman Sachs, quella della crisi economica è di «un’organizzazione familistica orizzontale copulativa che coopta sempre nuovi membri», per cui ai vertici della aziende salgono manager indottrinati con gli schemini della McKinsey, che succedono all’amministratore delegato di cui erano assistenti. su genesi e natura della crisi, non varrebbe usare con Ruggeri gli argomenti che si oppongono a Paul Krugman o, per restare tra noi, a un Guido Rossi. Perchè ciò che egli stigmatizza con convinzione a volte feroce, è «la caduta di una cultura e di un’etica», che, come osserva Giannino, per lui si manifesta «innanzitutto nell’inabissamento di un’estetica». Ruggeri è un conservatore: alle razionalizzazioni ex post dei consulenti, agli algoritmi dei Nobel, contrappone addirittura la cultura dell’Italia dei comuni, che già conteneva «tutte le esigenze spirituali delle società moderne, la nozione della libertà intellettuale, la pratica della libera contrattazione, la tendenza all’espansione capitalistica, la concezione di un diritto scritto, certo e preciso. Accadeva ad Amalfi, corcondata da l’>>estamblishment germanico, dell’epoca, ricco, potente, ignorante».
Nel’attualità, chi cerca un fondamento rischia di avvitarsi in una spirale senza fine. Ruggeri pensa di uscirne osservando che «probabilmente abbiamo raggiunto il nostro livello non di incompetenza ma di limite, sia all’innovazione sociale, sia alla gestione dello sviluppo». Quel limite è precisamente ciò che dcreta la fine delle metafisice e delle ideologie totalitarie novecentesche che ne furono figlie, e quindi anche dell’estamblishment a cui le paragona. Sei il potere di quell’estamblishment appare incapace a tenere tutto insieme sotto il suo dominio intellettuale, se soccombe alla complessità, vuol dire semplicemente che non esite più: è «osceno» perchè, letteralmente, fuori dalla scena. In tal modo è Ruggeri stesso a fornire la confutazione del suo radicalismo. La vita continua: fuori dalle grandi narrazioni, dalle grandi banche, dalle grandi fabbriche, trova negli interstizi le proprie nicchie ideologiche. il percorso della vita lavorativa diventa successione di compiti parziali; non è facile, ma molti, specie nei lavori intellettuali, riescono a fare della precarizzazione una scelta. E anche questi fogli di diario non raccontano il girovagare dell’autore per interstizi? Ruggeri cita Gramsci, che alla sorella Teresina raccomanda «lascia che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambito naturale in cui sono nati». Se Dio muore, diventano possibili i politeismi. Invece di una rivoluzione, tanti “sardismi”? Affare fatto.
Oscene Parole
di Riccardo Ruggeri
GranTorinoLibri, Torino, 2010
editore grantorinolibri
14 annoe fa
Caro Franco riprendi una mia considerazione sulla Repubblica di Amalfi che contestualizzi diversamente. Nella mia ottica, la Repubblica di Amalfi, poche centinaia di ettari, ha atteso centinaia di anni, fino al 1789, per vedere realizzate, su scala mondiale, le sue idee, che nel frattempo, silenziosamente, adottava sul suo minuscolo territorio, dall’intenso profumo dei limoni.
La famiglia Ruggeri, dieci persone in tutto, con poche centinaia di metri quadrati di alloggi di proprietà, senza piante di limoni, a Amalfi si ispira, e applica le sue analisi solo per se stessa, attendendo fiduciosa, ma senza fretta, il suo momento (il moment degli americani), rimanendo sempre all’erta, però sempre rilassata e sorridente.