Ha ragione chi sostiene che in Italia si confrontano una sinistra statalista e una destra liberista? Magari fosse così! In realtà non ci è dato avere un panorama politico su cui tale contrapposizione limpidamente si stagli: ci sono invece le ombre lunghe di vecchie cappe ideologiche, la caligine della mancata soluzione al problema della stabilità di governo, Lo statalismo è ancora la strada più sicura per assicurarsi il consenso, ai paladini del mercato e della concorrenza viene garantita appena una decorosa sopravvivenza: in entrambi gli schieramenti. Amara, ma realistica considerazione per quella minoranza che, come me, vorrebbe vedere restringersi l’ala delle politiche centraliste. dileguare i residui di illusioni pianificatorie.
Se oggi von Hayek fosse qui in Italia certo vedrebbe economisti come Ricossa e Martino militare nel centro-destra, ma dovrebbe con franchezza riconoscere che fino a questo momento, alla prova dei fatti, anche il centro-destra ha valutato il riguardo verso gli apparati pubblici, quando non l’infiltrazione in essi, come il prezzo da pagare per vincere le elezioni.
Per chi come me si pone il problema di concorrere per portare nella società italiana cultura del mercato, e il centrosinistra su queste posizioni, si pone un problema fondamentale. Quali sono le coordinate sociali per rendere possibile questo tipo di gover¬no? Il problema non è quello di vincere la gara elettorale, ma di ottenere il consenso sociale; è il problema, storicamente caro alle sinistre, di come distribuire nella stratigrafia dei redditi gli effetti delle politiche. Politica che, nel caso italiano, è ancorata al raddrizzamento degli squilibri della finanza pubblica, e che si regge sugli accordi sul costo del lavoro del ’92-’93.
Se c’è un errore che il centrodestra ha compiuto quando due anni fa si propose all’elettorato come una innovativa formazione politica vincendo così le elezioni, è quello di aver dato l’impressione di sostenere una via dello sviluppo nazionale fonda¬to sull’inasprimento della conflittualità sociale più che sulla concertazione, e di non aver voluto accompagnare la proposizione degli obbiettivi obbligati – ovviamente si pensa alle pensioni – con la ricerca delle condizioni necessarie. Una prospettiva per cui non si riescono a scorgere, finora, correzioni adeguate, e che va invece ribal¬tata.
Il tentativo di chi come me – senza partito – tenta di portare la battaglia per il liberalismo dalla parte del centrosinistra, si basa sulla convinzione che non è più possibile continuare a usare la leva monetaria e il controllo del reddito dipendente come gli unici strumenti per la lotta all’inflazione. A questi due, nell’interesse primario dei ceti a reddito dipendente, vanno anche affiancate misure di liberalizzazione sul versante dell’offerta, che aprano un più ampio spazio a una crescita non inflazionistica, non limitata all’aumento della produttività, che possa cioè portare anche un aumento del-l’ occupazione.
Parlare di liberalizzazione sul versante dell’offerta, di flessibilità dei fattori produttivi, significa toccare note dolenti, mostri sacri e intangibili per la sinistra. Ma si fa osservare che sono proprio economisti progressisti, come James Meade, il Nobel che fu assistente di Keynes, a sostenere l’interesse della sinistra a superare il vecchio pregiudizio ‘uguale paga per uguale lavoro’, o il rigido impianto dell’imposta personale e progressiva sul reddito.
È in questo quadro concettuale ed è in questa prospettiva politica che si colloca ciò che ho cercato di fare in questi due anni di attività: dal progetto per restituire al mercato le banche di proprietà di fondazioni, all’impegno affinché la privatizzazione dei servizi di pubblica utilità produca assetti autenticamente concorrenziali, all’indicazione delle riforme del sistema di corporate governante, alle garanzie di indipendenza da dare alle costituende autorità di settore. E, allo stesso modo, l’opposizione a progetti che vorrebbero risolvere il problema del conflitto di interessi con norme che penalizzano imprese e discriminano imprenditori.
Devo dare atto di aver articolato queste proposte e di aver svolto queste attività nella più assoluta libertà, sempre; con personali consensi, sovente; con risultati concre ti, a volte. E che quindi a torto si accuserebbe di statalismo la mia parte politica.
Questi fermenti riusciranno a prevalere ? A questa domanda io non ho risposta. Constato che c’è stata una crescita di sensibilità verso questi temi – basta considerare il ‘problema del 51 per cento pubblico’, un tabù che ancora all’epoca del governo Amato sembrava insuperabile e che, sia detto per inciso, non è senza interesse notare che esso ancora prevale a livello di molte amministrazioni locali. È necessario che chi la pensa come me possa continuare la sua azione, è necessario che i mezzi di informazione smascherino il ritorno di vecchie consorterie, i protagonisti e i caudatari del mondo delle partecipazioni statali, che ora si vedono riemergere in questa campagna elettorale e che non erano presenti in quella di due anni fa. Sarebbe necessario che la campagna elettorale diventasse un’occasione per diffondere questi temi e non fosse, invece, condotta all’insegna della reciproca delegittimazione. contro l’interesse di questo paese.
Liberisti stanno sia da una parte che dall’altra dello schieramento: ma il partito di von Hayek, in Italia, non c’è. Non c’è, anzi è molto lontano anche da dove qualcuno ha supposto potesse nascondersi: basti notare l’esempio della Lega che a Milano con Formentini non ha privatizzato nulla, anzi ha tirato un sospiro di quando un galantuomo come Marco Vitale ha levato il disturbo.
Per quanto mi concerne una prospettiva con tempi troppo lunghi mi indurrebbe a riconsiderare l’utilità della mia presenza nel centrosinistra; ma, per il momento nulla mi autorizza a credere che anche nel centrodestra i temi in cui credo non siano oscurati da antichi retaggi. e che su di essi non prevalga la riuncia, il ripiegarsi alla ricerca di vecchi ma consolidati consensi.
marzo 8, 1996