Mutui usurari, si rischia un rimedio peggiore del male

gennaio 20, 2011


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Quando si parte male, è difficile correggere la rotta: rimediare ad una legge con un difetto di fondo, può produrre anche effetti ne­gativi. È quello che potrebbe accadere con la legge sui mutui ban­cari, da oggi all’esame del Senato.
Nel febbraio 1996, sull’onda emotiva di fatti criminali gra­vissimi, il Parlamento a Camere già sciolte modificava gli artico­li. 644 c.p e 1815 c.c., stabilendo che è l’entità del tasso — una volta e mezzo quello medio — a determinare il reato di usura; tas­si superiori sono usurari e, se fossero convenuti, la clausola sa­rebbe nulla e non sarebbero dovuti interessi. A seguito della no­stra entrata nell’euro i tassi medi sono calati, quelli pattuiti nei periodi di alta inflazione oggi si trovano oltre la soglia che defi­nisce l’usura.

Per la Corte di Cassazione (sentenza 14899/2000), poiché la legge non dice il contrario, per la sussistenza del reato di usura rileva il tasso in essere quando le singole rate vengono versate e non quello vigente al momento della stipula del con­tratto. Con conseguenze retroattive, sulla cui entità i pareri sono assai difformi.
La legge sull’usura contiene un errore di principio: non indi­vidua il terreno di illegalità in cui si sviluppa l’usura; non ricono­sce che «non c’è usura nel mercato legale», come ha detto il Go­vernatore Fazio, parlando alla prima Conferenza nazionale contro l’usura. La legge non prende atto delle differenze sia di rischiosità (il rapporto sofferenze/impieghi raggiunge il 30% nelle quattro regioni maggiormente esposte al rischio di usura contro una me­dia nazionale dell’8%) sia di costo e tempo per il recupero dei crediti: produce così un razionamento del credito, a danno proprio di coloro che vorrebbe proteggere.
La strada maestra sarebbe quella di modificare la legge sull’usu­ra. Ma essendo difficile, in fine legislatura, intervenire sulle cause, il Governo ha deciso di porre rimedio alle conseguenze: un decreto conferma che il momento in cui si valuta se il tasso è usurario è quel­lo in cui si stipula il contratto. Che il Parlamento possa decidere che così debba essere per il futuro, è certo. Il punto è: può farlo anche con efficacia retroattiva? Il Presidente del Consiglio difende il diritto dei Parlamenti di dare «interpretazioni autentiche» delle proprie leggi; alcuni giuristi della stessa maggioranza invece temono che magistra­tura e Corte Costituzionale possano sostenere che l’«interpretazione autentica» non annulla i diritti soggettivi prodottisi nel frattempo.
Questione delicata, che si lascia ai giuristi. Ma íl decreto va ol­tre, e aggiunge che, «in considerazione della eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi nel biennio 1998-1999», i mutui debbano essere rinegoziati, con un’articolata griglia per il tasso di sostituzione. Così facendo indebolisce la propria tesi. Al comma 1 sostiene che il nuovo decreto interpreta il pensiero del legislatore del 1996, e al comma 2 dice che però quel pensiero era sbagliato, perché non teneva conto di un fatto verificatosi appena due anni dopo, mentre il trattato di Maastricht era stato firmato fin dal 1992. Alla «interpretazione autentica» aggiunge la «correzione opportuna»: ma interpretare ex ante e correggere ex post sono due cose distinte; metterle insieme indebolisce la tesi dell’interpreta­zione e distorce lo strumento della correzione.
E poi, parliamone di questa «eccezionalità». Abbiamo voluto ri­spettare il trattato di Maastricht ed entrare nell’euro coi primi in vista dei benefici che portava al Paese tutto, per centrare l’obbiettivo il Pae­se ha fatto anche il sacrificio dell’eurotassa. Ci sono stati anche molti vincenti nella gigantesca azione di redistribuzione prodotta dalle varia­zioni di tassi: chi aveva contratto mutui a tasso fisso a lunga scadenza negli anni Settanta prima che i tassi salissero; chi aveva comperato tito­li del debito pubblico emessi negli anni Ottanta fino a metà Novanta.
Il maggior costo del servizio del debito sui BTP derivanti dal mancato Allineamento tra il rendimento dei BTP all’emissione e quello dei BIT in essere, per i soli 3 anni dal 1997 al ’99, vale 87.000 miliardi. Ancora oggi su 75 tipi di BIT quotati al MOT, 32 hanno cedole «usurarie», di i i i 24 superiori all’8,25 % e 8 superiori all’11%. Tant’è che il Governo sente la necessità di rassicurare i mercati, e nel decreto introduce un comma 4 per confermare di non considerare usurai i risparmiatori che gli affidano i propri risparmi: pagherà… come un banchiere.
Certo, ci sono anche gli svantaggiati. Il Paese può decidere di loverli indennizzare, ma non è ovvio che a pagare debbano essere le banche, i loro azionisti (e i contribuenti, dato che i costi addossati al­le banche determinano minori gettiti per l’erario che non saranno compensati interamente da maggiori gettiti da imprese e individui).
E’ contraddittorio imporre un onere in relazione ad un fatto di cui si decreta l’insussistenza con «interpretazione autentica». Se non c’è una ragione, bisogna inventarla: e allora si dice che i profitti delle I anche sono eccessivi, dunque ingiusti. Eppure solo pochi anni fa la bassa profittabilità delle banche era indicata come un pericolo; ep­pure si riteneva acquisito per sempre che fare profitti è il dovere di ogni amministratore di impresa, banche comprese; eppure è noto che scambiare «maturità» è la sostanza di ciò che fanno le banche, che hanno sviluppato strumenti e tecniche per farlo con un accettabile rapporto tra rischi e profitti. Se, come qualcuno sostiene, nel settore non ci fosse abbastanza concorrenza, sarebbe una situazione strutturale su cui intervenire con strumenti adatti: invece si riconosce che il fatto è eccezionale e si interviene con una «multa».
C’è una ragione per chiedere alle banche di contribuire sostan­ziosamente per rimediare alle conseguenze impreviste della senten­za della Cassazione, e per stabilire il tasso a cui si dovranno rinego­ziare i contratti: ridurre l’interesse dei singoli mutuatari a ricorrere al giudice per ottenere condizioni maggiormente vantaggiose. Ma se l’obbiettivo è risolvere pragmaticamente l’incertezza sul piano giu­ridico, non c’erano altri mezzi per raggiungerlo? Le banche si sono dimostrate sostanzialmente d’accordo ad accettare la proposta: non basta il lavoro di coordinamento e di persuasione svolto da Gover­no, Bankitalia, ABI? Non basta un impegno sottoscritto dalla loro Associazione, di cui il Governo prenda atto? Se si vuole coinvolge­re il Parlamento, non basta uno strumento di indirizzo? Al limite, se proprio si vuole la Gazzetta Ufficiale, non era meglio trattare con due provvedimenti separati la «interpretazione» del codice penale, e la rete di protezione per le «vittime dell’euro»?
Non aver tenuto separate la questione di principio e la soluzione pragmatica ha avuto conseguenze negative: si è lasciato campo libero al populismo, soprattutto di Alleanza Nazionale e del senatore Di Pie­tro, che l’imminenza delle elezioni ha reso più difficile contenere. Si sono così prodotti veleni destinati a restare in circolo a lungo. So­prattutto si è danneggiata la credibilità del nostro Paese sui mercati fi­nanziari. Certamente l’essere entrati nell’euro ha ridotto la volatilità della nostra moneta; ma da questo a dire che fatti «eccezionali» non si verificheranno mai più ce ne corre. E se dimostriamo che contratti privati si possono modificare per legge, che i tassi si possono fissare per via amministrativa, come pensiamo che le istituzioni finanziarie valuteranno il valore della nostra firma in calce ai contratti firmati in condizioni che ci riserviamo di giudicare a posteriori «eccezionali»?
Le leggi sono sempre più sovente «modi d’intrusione o d’invasio­ne violenta degli Stati nel campo dei rapporti ch’erano prima regolati dalla volontà degli interessati e da norme che altro non volevano essere se non l’applicazione dí un criterio di giustizia.» Lo scriveva nel 1950 Filippo Vassalli leggendo in Campidoglio, in occasione dell’inaugurazione del Congresso internazionale di diritto privato, una relazione dal ti­tolo «La missione del giurista nella elaborazione delle leggi». La sua raccolta di testi giuridici è ora nella Biblioteca del Senato: la legge sui mutui bancari offre una buona occasione per ricordare la sua lezione.

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