Al direttore.
Gli odierni commenti sul futuro del Monte dei Paschi di Siena mi hanno richiamato alla mente le discussioni in Parlamento sul ruolo delle fondazioni dopo la legge Amato del 1990 (quella del Frankenstein) che accompagnarono il faticoso processo di quello che sarebbe poi divenuto il decreto legislativo 153 del 1999. Ricordo un commento di Massimo D’Alema, di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, compreso anche un passaggio a Wall Street. “In un mondo in cui, come ho avuto modo di vedere, premendo il pulsante di un mouse è possibile spostare un milione di dollari da una parte all’altra del mondo, una finanza arroccata dietro mura merlate è un anacronismo”. Esplicito il riferimento a Siena, alla sua banca, alla Fondazione, e – speravamo noi riformisti – anche al partito di cui era il feudo. Sono passati vent’anni, vent’anni in cui alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena fu consentito di non adeguarsi ai limiti imposti dal decreto Ciampi, vent’anni segnati da operazioni, alcune delle quali caldeggiate, a quanto si dice, da D’Alema stesso, battaglie anacronistiche conclusesi con sconfitte brucianti. Vent’anni dopo è ancora l’anacronismo, sotto mutate spoglie ma alimentato da analoghi interessi, ciò che accomuna le proposte di FdI, Lega, Cinque stelle e, si stenta a crederlo, perfino dell’erede politico di quanti rovinarono la banca, e che ora se ne serve per chiedere il voto dei senesi. Tutti a imboccare la strada che farà del Monte l’analogo bancario di Alitalia. Tutti a respingere il piano elaborato con minuziosa cura dal ministro dell’Economia, forse l’ultima possibilità di salvare quello che ancora è sopravvissuto dentro le mura merlate di Siena.
La risposta del Direttore
Per la prima volta il Pd, nel 2018, ha espresso a Siena un candidato che piuttosto che occuparsi solo degli interessi del partito sul territorio, interessi di breve termine, ha fatto un passo in avanti per dare un futuro alla banca non di medio termine. Lo ha fatto da parlamentare del Pd, rivendicando le scelte compiute nel 2017 al tempo del governo Gentiloni, e lo ha continuato a fare anche negli ultimi mesi, non da uomo di partito ma da uomo di banca. Se Unicredit riuscirà nell’operazione di acquisizione di Mps, il Pd più che rinnegare il suo ex parlamentare dovrebbe ringraziarlo, perché Padoan è stato davvero il candidato del territorio che ha salvato la banca del suo seggio elettorale, dandogli un futuro nel mare del mercato.
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agosto 3, 2021