L’opera di Venezia ci riempie di orgoglio, ma l’Italia ora deve imparare anche dai suoi errori
L’inaugurazione del Mose, la dimostrazione che funziona, probabilmente anche con condizioni di mare e vento più avverse, è motivo di soddisfazione; l’originalità della tecnologia e l’originalità dell’opera sono giusta ragione di vanto. Ogni opera richiede tempo ed ha un costo: ma quando l’uno e l’altro presentano anomalie così macroscopiche, è impossibile non considerarle.
Il tempo: 54 anni dalla catastrofe, una delle più spaventose alluvioni degli ultimi secoli, che pose il problema di che cosa si poteva fare per evitare la distruzione di un gioiello unico e irripetibile. Dieci anni per individuare una soluzione, e poi 40 anni per realizzarla.
Il costo: quello per la costruzione (€6,1 Mld; a cui si deve aggiungere quello della manutenzione per 100 anni (€1,6 mld). I costi lievitano sempre in corso d’opera (in questo caso di oltre il 100% in vent’anni): qui c’è stata una distrazione di risorse pubbliche di oltre €2mld (Alessandro Barbieri e Francesco Gavazzi “Corruzione a norma di legge”) a favore di soggetti per questo condannati con sentenza passata in giudicato.
Altro che quel 10% che qualcuno ha detto di considerare accettabile perchè l’opera venga realizzata! Qui la maggiorazione è di oltre il 50%. E questa è solo una parte del danaro pubblico dilapidato. Infatti uffici della pubblica amministrazione sono stati pagati per occuparsi del MOSE, per 40 anni. Pagati per fare che cosa? E già difficile che le opere vengano eseguite nel tempo previsto, proprio perchè difficile prevedere l’imprevisto: ma se l’interesse di chi gestisce (il Consorzio Venezia Nuova) è quello di far durare una situazione da cui trae vantaggio, l’imprevisto diventa certezza. Lo stesso dicasi per i costi dei materiali e per le prestazioni acquistate dal Consorzio: trovare i possibili fornitori e metterli in concorrenza non è automaticamente garanzia di avere la migliore qualità al minor prezzo; ma se questo non è l’obiettivo dell’acquirente, è sicuro che non verrà raggiunto. La parola concorrenza era bandita nel Consorzio Venezia Nuova: stabiliva perfino i tassi di interesse sui prestiti erogati dalle banche. Il tempo esorbitante (il ponte tunnel di 16 chilometri tra Copenhagen e Malmoe è stato costruito in 5 anni) non è il prezzo inevitabile pagato a processi amministrativi eccessivamente minuziosi, garantisti, prudenti: al contrario è dimostrazione di interessate deficienze.
Non si pensa poi al costo opportunità, che pure aumenta automaticamente col passare del tempo: quante acque alte si sarebbero potute evitare terminando l’opera un decennio prima? Si dice che quest’opera è una dimostrazione del nostro ingegno progettuale e della nostra capacità realizzativa, come è stata la costruzione dell’autostrada del Sole: a parte l’impietoso confronto (760 km in 8 anni, scavalcando valli e forando montagne, a un costo di poco superiore a metà del Mose), quante occasioni si sono perse di esibire le nostre capacità?
Se l’obiettivo dominante è far durare una situazione di indebito ed eccezionale favore, non restano tempo, energia, intelligenza, credibilità, per rimuovere gli altri pericoli che corre Venezia, tanto meno per pensare di inserire il Mose in un progetto di città: “salvare Venezia” è il titolo che Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi hanno dato alla nuova edizione del loro libro.
La giusta soddisfazione per il successo della prima prova non comporta un’indulgenza plenaria.
Sarebbe imperdonabile non tener conto anche dei costi sostenuti, quelli diretti e quelli indiretti, non indicarne le cause, non mettere in atto le azioni atte a rimuoverle: perché sono il solo modo per evitare, o almeno per rendere più difficile che succeda di nuovo. Non farne una “lezione per l’Italia che vuol ripartire”, anche questo sarebbe il costo di un’opportunità mancata.
ARTICOLI CORRELATI
Viva il Mose, la morte di un’ideologia italiana
di Giuliano Ferrara – Il Foglio, 04 ottobre 2020
ottobre 7, 2020