di Isabella Bufacchi
La fortezza che custodisce il risparmio postale, la Cassa depositi e prestiti, da ieri opera anche come holding perché può «assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale». Direttamente o indirettamente, tramite veicoli societari o fondi di investimento, anche con risparmio postale. Così recita la modifica allo statuto approvata all’unanimità dall’assemblea straordinaria degli azionisti, convocata in gran fretta per recepire il decreto legge entrato in vigore nei giorni scorsi e ispirato a voglie anti-scalata sulla vicenda Parmalat-Lactalis.
Nel futuro della Cassa, tuttavia, al di là dell’intervento atteso per vie dirette nel gruppo di Collecchio entro giugno in cordata con altri privati, si apre uno scenario di lungo periodo con la costituzione di un fondo strategico d’investimento alla francese per acquisire partecipazioni in società di peso per l’economia del Paese ed aiutarle a crescere.
In uno comunicato piuttosto scarno rispetto alla rilevanza della novità, la Cassa ha fatto sapere che potrà «assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, a condizione che possiedano i requisiti che saranno definiti con decreto del ministero dell’economia »: bisognerà attendere questo provvedimento, quindi, per stabilire la portata della nuova Cdp. Tra i settori strategici non dovrebbe però risultare quello bancario, pur avendo rilevanza sistemica: secondo fonti bene informate, la Cassa non entrerà nelle ricapitalizzazione avviate dal sistema bancario in vista di Basilea 3. Il testo del decreto ministeriale è in dirittura d’arrivo: i tecnici del Tesoro vi lavorano da giorni.
In aggiunta a quanto stabilito dalla legge recepita ieri, la Cassa ha messo bene in chiaro nello statuto che questo investimento azionario sarà circoscritto a società «caratterizzate da una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico, e da adeguate prospettive di redditività». La Cdp ha un vincolo, che proviene da Bruxelles ma anche dal risparmio postale: non può fare aiuti di Stato, non può entrare in società decotte. Finora in tutte le sue nuove attività, come il fondo di private equity per le Pmi e il credito alle piccole e medie imprese tramite le banche, la Cassa ha assistito – indirettamente – esclusivamente aziende sane, con operazioni di mercato. Questo principio, oltre a rispettare i diktat europei, garantisce la tutela del risparmio postale, anch’esso una ricchezza di rilevanza nazionale.
Stando a quanto ha appreso Radiocor-Il Sole 24 Ore, sono stati espressamente banditi ieri gli investimenti in società strategiche «in situazione di crisi economica e finanziaria» o che «rischiano di trasferire a Cdp degli oneri derivanti da processi di ristrutturazione in corso»: è uno dei paletti inseriti in una lunga nota riportata nel verbale dell’assemblea totalitaria, che avrebbe raccolto particolare gradimento delle fondazioni. Un inciso in linea con il passato, quando la Cdp fu tenuta alla larga da piani di salvataggio o sostegni in extremis, ora per Fiat, ora per Alitalia.
Le modifiche allo statuto della Cassa non sono una novità da quando nel 2003 l’istituto è divenuto Spa (con l’ingresso nel suo capitale delle fondazioni) ed è uscito dal perimetro della Pa. Senza gravare sul debito pubblico, agli investimenti di interesse generale per lo sviluppo economico con il risparmio postale è stato aggiunto (legge 2/2009) il finanziamento diretto di soggetti privati impegnati nella realizzazione di progetti promossi da enti pubblici; l’assistenza alle Pmi per superare temporanea carenza di credito a medio-lungo termine (legge 33/2009); la ricostituzione delle aree terremotate (legge 77/2009); il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese con operazioni assistite da garanzia Sace (legge 102/2009).
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