In una famosa sentenza il giudice Learned Hand, della Second Circuit Court of Appeal statunitense, affermò che nonostante la posizione monopolista (nella fattispecie del colosso dell’ alluminio Alcoa) potesse assicurare prezzi più vantaggiosi ai consumatori, essa andava condannata perché la libertà di concorrenza è un bene per sé. Torna alla mente l’episodio leggendo la parte relativa alla privatizzazione dell’Enel, nella relazione che il ministro dell’Industria C16 ha reso alla commissione Industria del Senato mercoledì scorso.
Secondo il ministro Clò, si deve «preservare l’ assetto unitario del sistema elettrico nazionale per quanto attiene alla fase di trasmissione/distribuzione», consentendo solo una «graduale apertura alla concorrenza nella fase di generazione». Sembra che queste espressioni si debbano interpretare nel senso che l’unico spazio lasciato agli investitori privati sarà, nella migliore delle ipotesi, qualche dismissione di impianti di produzione, nella peggiore la possibilità di concorrere a provvedere in parte alle future necessità di potenza. Con il che un mercato contendibile e competitivo nella generazione, se mai ci sarà, lo vedremo nei prossimi decenni.
È interessante riportare le ragioni addotte dal ministro: non abbiamo il nucleare, importiamo energia dall’estero e le fonti energetiche sono per il 70 per cento costituite da prodotti petroliferi; dunque, abbiamo necessità di programmare a lungo termine sia gli investimenti che i contratti di importazione delle materie prime: cosa che in logica concorrenziale e in assenza di integrazione non sarebbe realistico attendersi. Ragioni entrambe ardue da comprendere. Quanto alla generazione: o è lo Stato che si assume l’onere di richiedere la costruzione di riserve di potenza e, allora, l’onere non cambia in funzione della natura del soggetto che vi provvede, che sia azienda di Stato, un’Enel privatizzata in blocco, o altri imprenditori privati, oppure questo onere se lo assume il distributore (o i distributori) e non si capisce perché può (possano) farlo solo se integrati con la produzione.
Quanto alla firma di contratti di importazione delle materie prime, sembra strano che le società di generazione debbano imparare da qualunque commerciante appena un po’ avveduto la tecnica dei pool di acquisto. La politica sul fuel mix nel lungo periodo è certamente di pertinenza del governo: ma, ancora, una volta non si capisce perché sia possibile implementarla solo con un’Enel privatizzata in blocco. Ed è fin troppo facile obbiettare che proprio la situazione di dipendenza dal petrolio, lamentata dal ministro, si è prodotta con un’Enel monolitica e appartenente al 100 per cento allo Stato. Quanto poi ai fasti dei rapporti tra politica estera e politica energetica, è forse il caso di stendere un pietoso velo.
Se ci fosse qualche dubbio sulle sue intenzioni, il ministro precisa che la istituenda Autorità dovrà esercitare il «controllo sul rispetto degli obblighi contenuti nella concessione»: come dire che la definizione dei contenuti della concessione continuerebbe a restare in mano ai ministeri. Ma il ministro Clò è un esperto del settore e, forse, ha ragioni da opporci che ci sfuggono. Ed è qui che torna in mente il caso Alcoa e il giudice Hand. In teoria il monopolio ha tutte le ragioni dalla sua, così come, in teoria, l’economia di scala vorrebbe che esistesse solo la General Motors: peccato che guadagni di più la Chrysler. In teoria, nulla è più perfetto dell’economia pianificata: ma, grazie al cielo, non ci crede più nessuno.
Il problema non è tecnico, è politico. Problema politico è la presenza dello Stato nelle attività economiche in misura assolutamente anomala, incompatibile con un’economia di mercato. Problema politico è la vischiosità e la sorda resistenza che oppongono i poteri e gli interessi che intorno a questa presenza si sono coalizzati. All’ombra dei monopoli ‘naturali’ si sono formate concentrazioni di poteri con rapporti (naturali anch’essi?) con il potere politico, che non si scioglieranno per virtù di public company, ma solo liberalizzando i mercati e cercando concorrenza. Non si otterrà nulla, non si è ottenuto nulla, se alla presunta razionalità tecnica, alla forza di ciò che esiste, non si oppone la volontà politica di cambiare, la convinzione che mercato e concorrenza sono un bene per sé anche quando ciò significasse (e non lo è nella maggior parte dei casi) correre il rischio di qualche disottimizzazione. Il caso Enel è importante non solo in sé, ma perché costituirà precedente per l’Eni e la rete di distribuzione del gas, per la madre di tutti i monopoli, la Stet. Perfino per le reti-cavo che forse ci apprestiamo a costruire e che potrebbero diventare il caso, unico al mondo, di un monopolio che sarebbe ‘naturale’ prima ancora di nascere, per diritto ereditario.
Il problema non è tecnico: perché non lo si risolve con criteri tecnici, ma soprattutto perché anche quella di assumere decisioni che si dicono tecniche, è una decisione politica.
E, ove mai si adducesse a giustificazione che così si fa perché questo è un governo di tecnici, allora bisognerebbe chiedere di sospendere ogni decisione, per il breve spazio di vita che questo governo si è dato.
febbraio 11, 1995