Meritocrazia per combattere il declino

ottobre 13, 2004


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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“La capacità di riformare nel profondo il sistema si è dispersa, é prevalsa la logica dell’emergenza” scrive Stefano Folli nel suo editoriale di domenica.

“La capacità di riformare nel profondo il sistema si è dispersa, é prevalsa la logica dell’emergenza” scrive Stefano Folli nel suo editoriale di domenica. Quindi sollecita destra e sinistra a “una riflessione sulle caratteristiche e i costi del welfare in anni di penuria economica”. Viene da chiedersi: qual è l’emergenza, i costi insostenibili del welfare o la penuria economica? Quale il rimedio, ripartire i costi della protezione sociale, o riavviare il Paese su un sentiero di crescita?

Quanto a me, ho una certezza: è la penuria economica l’emergenza, è la crescita la priorità assoluta. E una convinzione: il rimedio è una cultura che esalti la concorrenza e che premi il merito.

Sono tre decenni, più di una generazione, che l’Europa si allontana dagli USA. L’Italia fa peggio. Perché il Paese cresca bisogna che aumenti l’input, che più gente lavori per più tempo. Una politica che ponga al primo posto la crescita non può contemporaneamente porsi obbiettivi redistributivi. Non fu l’obbiettivo di ridurre le diseguaglianze, ma la fiducia di poter raggiungere un maggior benessere, di espandere la propria attività, il motore della crescita nel dopoguerra. Bisogna dare un orizzonte di ragionevole stabilità perché si investano le proprie risorse; bisogna esporre alla concorrenza i settori protetti, e gli schemi proprietari che li perpetuano, perché diventi interessante investire in innovazione. Se c’è tanto lavoro precario é anche perché c’è troppo lavoro immeritatamente esente dalla ricerca di produttività. Se ci sono pochi beni pubblici é perché c’è una concezione quantitativa dei compiti dello stato, che produce e che possiede, anziché indirizzare e controllare.

Il Paese è stanco, scrive Edmondo Berselli. Il contrario di stanco è fresco, pronto a fare, vivace a rispondere, competitivo nei due sensi del termine. Se prevalgono “interpretazioni zoppe della dimensione sociale dei problemi economici”, come scrive Tommaso Padoa Schioppa, é per mancanza di cultura delle concorrenza. Ben più che quello tra lavoratori e padrone, tra utenti e produttore, è questo lo spartiacque fondamentale: contrappone due visioni di società, una che persegue l’egualitarismo, l’altra la selezione per merito.
E come potrebbe esserci la cultura della concorrenza e del premio al merito, se l’abbiamo scacciata già dalla scuola e dalle università? Si introduce la laurea breve; e crolla il già non eccelso livello dell’insegnamento. I laureati aumentano nell’ultimo anno del 15%, ma quanti sono stati quelli in fisica, matematica o biologia? Ci sono 53.000 iscritti al corso di Laurea in Scienze della Comunicazione: tutti alla ricerca dell’eccellenza? Negli USA, gli atenei competono per assicurarsi i migliori docenti, e un ricercatore non può lavorare nell’università in cui ha preso il PhD: noi mandiamo in cattedra i cinquantenni, e il ricercatore resta parcheggiato dove si é dottorato. La riforma in senso rigorosamente meritocratica delle Università ha valore emblematico ed è praticabile: coinvolge un numero relativamente modesto di persone, compone la frattura col mondo produttivo, senza bisogno di incentivi fiscali, é coerente con la missione storica di essere centri che irradiano cultura.

Per tornare al punto indicato da Folli, è indubbio che esso tocca in primo luogo la sinistra. Berlusconi proporrà di andare avanti con il taglio delle tasse: pur con tutte le riserve sulle conseguenze della incerta sostenibilità macroeconomica, non si può negare che sia una risposta precisa all’interrogativo. La sinistra, con il vertice di lunedì, ha appena messo in moto un processo. Incassato che sia il ritorno all’ovile di Bertinotti dopo la rottura del 1998, dovrà far capire dove sta il suo baricentro politico; compattata la coalizione con la manifestazione contro la finanziaria, dovrà indicare a quale traguardo guidarla. La crescita è la sola soluzione ai problemi del Paese. A ben vedere, lo è anche, e non è poco, ai problemi della coalizione.

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