Meno pubblico meno corrotti

febbraio 27, 2010


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Non è che poiché le aziende sono già sostituto d’imposta, devono essere anche sostituto di legalità: il contrasto alla criminalità organizzata richiede un’attenta verifica delle proprie controparti commerciali, ma è a quello che giustamente si chiama potere pubblico che chi paga le tasse chiede di sradicare il male.

Invece c’è il rischio che la simmetrica precisione con cui si sono succedute le due inchieste, delle procure di Firenze e di Roma, faccia dimenticare questa sostanziale differenza. L’opinione pubblica è scossa dalle rivelazioni dei due scandali gemelli, quello della Protezione civile e quello delle aziende telefoniche: non serve fornirgli la consolazione delle analisi apocalittiche, per cui saremmo tutti naufraghi in un mare di corruzione generale, condannati da una storia e una cultura diventate dato antropologico.
Solo a moralisti e mozzaorecchie conviene far di ogni erba un fascio, così possono proporre le loro ricette, inasprire le pene, o reinstaurare i principi, indifferentemente a pubblico e privato.
Distinguere non serve per stilare classifiche: non interessa se gli illeciti compiuti da manager di un’azienda privata che (forse) hanno usato loro poteri conferiti dagli azionisti in danno degli azionisti stessi e del fisco, siano più o meno gravi di quelli di funzionari pubblici che (forse) hanno usato i poteri conferiti dallo stato per operare in danno dello stato e dei contribuenti.

Distinguere serve per trovare da che parte stanno i rimedi. Nel campo privato, almeno in teoria, la direzione è chiara e diretta: ci saranno multe da pagare, responsabilità da accertare ed eventualmente manager e consulenti tributari da sostituire. Nel campo pubblico invece è per così dire indiretta, perché la corruzione ha proprio nella confusione tra pubblico e privato il suo terreno di cultura: ed è quindi quella confusione che deve essere prioritariamente attaccata.
La separazione tra pubblico e privato dovrebbero assicurarla i controlli di merito, su che cosa, da chi e a che prezzo lo stato compera con i nostri soldi. Ma il formalismo, che dovrebbe garantire, impone ostacoli e lentezze; costruttivismo giuridico, bulimia legislativa, cambiamento d’indirizzi politici hanno fatti di codici e regolamenti coacervi di norme funzionali solo al corporativismo delle burocrazie. La strada diretta si chiama riforma della Pubblica amministrazione, ma è costeggiata dalle lapidi di chi ci ha provato.

Le scorciatoie che questo Governo ha cercato – la legge obiettivo, le Spa pubbliche, la Protezione civile come struttura operativa – hanno indebolito i controlli? Ma delle Spa per la maggior parte finora c’è solo il nome. E il ricorso alla Protezione civile, più che la protervia di voler estendere la portata di un braccio esecutivo dotato di poteri straordinari, sembra rivelare il pessimismo di dover estendere il concetto d’emergenza anche a fatti a cui dovrebbero far fronte i poteri ordinari.

Lo schema delle vicende di corruzione pubblica è sempre lo stesso: il detentore di un potere pubblico lo usa a vantaggio di un privato, ricevendone un corrispettivo. Se è facile che l’illecito si produca quando viene attraversata la linea di confine tra ambito pubblico e ambito privato, la si dovrà illuminare a giorno e sorvegliarla. Lì sta la zona paludosa delle società pubblico-private, in cui i due ambiti, invece che essere separati, istituzionalmente convivono, teorizzando e praticando lo scambio tra vantaggi della presenza pubblica ed “efficienza” della gestione privata: alle spalle o dei concorrenti o dei contribuenti o di entrambi. La soluzione è semplice: non fare più ricorso per il futuro a questo strumento e ridurre il numero di casi esistenti.
La linea di confine è tanto più facile da monitorare quanto più è breve: ed è tanto più breve quanto più ridotta è l’area che essa circoscrive. Ridurre l’ambito della presenza pubblica in attività economiche riduce le occasioni di corruzione. Il problema non è che le varie Spa, dal patrimonio alla progettata Protezione, siano delle privatizzazioni, mentre sono solo forme, forse improprie, forse inefficaci, ma sempre di gestione pubblica.

Il problema é che questo governo non ha privatizzato nulla: tranne Alitalia. La presenza diretta del pubblico rimane pervasiva: basta pensare ai settori dei servizi pubblici e a quello della sanità, non per nulla da decenni focolaio di scandali. Già prima di questi scandali, a parlar male delle privatizzazioni si trovava sempre ascolto, figurarsi oggi.

Invece è perché si è ridotta l’area pubblica disponibile per “giochi proibiti” che oggi sui comportamenti dell’ex monopolista telefonico è facile, forse persin troppo facile, intervenire. Per la nuova rete a banda larga era tutto un gran parlare di presenza decisiva della mano pubblica. Oggi, a bloccare tutto, e per un bel po’, ci ha pensato l’intervento della magistratura. Non era esattamente a questo che si pensava, quando si sosteneva di evitare questa occasione di commistione pubblico-privato.

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di Tina A. Commotrix – Dagospia, 1 marzo 2010

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