Keynesiani alla riscossa. George W.Bush annuncia il suo piano di supporto all’economia che, tra maggiori spese e tagli alle tasse vale, per il prossimo anno, 130 miliardi di $, l’1,3% del PIL americano; pochi giorni dopo, a New York, in una riunione dei più importanti leader industriali americani, indica le condizioni in cui il suo Governo è disposto a finanziare le spese con il deficit di bilancio: col che viene iscritto d’ufficio al club dei seguaci del grande economista di Cambridge John Maynard Keynes.
Incoraggiati anche dal Nobel conferito a Joseph Stiglitz, noto soprattutto per la sua analisi dei “fallimenti del mercato”, i keynesiani, con un entusiasmo non sempre immune da tracce di Schadensfreude (gioia per le disgrazie altrui), hanno lanciato un’offensiva in grande stile contro l’ortodossia liberista che domina da 10 anni. Questa non solo sarebbe incapace di reagire allo shock economico dopo l’attacco dell’11 Settembre, ma sarebbe perfino responsabile di non averlo saputo prevenire. Sotto accusa è la privatizzazione del servizio di sicurezza agli aeroporti, conseguenza della corsa al risparmio indotta dalla deregulation del servizio aereo voluta da Reagan. Se il servizio viene aggiudicato all’impresa che costa di meno, che garanzia di sicurezza ci può essere? A ben vedere l’equazione “controllo privato uguale controllo scadente” non convince. In Europa i controlli in quasi tutti gli aeroporti sono svolti da imprese private e la loro efficacia è giudicata elevata dagli esperti. I cancelli elettronici, le macchine a raggi X sono prodotti dalle stesse fabbriche, le procedure di accettazione passeggeri sono standardizzate. L’attenzione o la distrazione di chi passa la giornata a guardare le radiografie dei bagagli dipenderà dalla lunghezza dei turni, dall’illuminazione, dal timore di punizioni: ma perché mai chi prende il suo stipendio (fisso e sicuro) dall’amministrazione pubblica dovrebbe essere più attento di chi lo prende da un’impresa privata, e sa di poterlo perdere se sbaglia? L’amministrazione pubblica faccia il suo mestiere, stabilisca regole su come devono essere effettuati i controlli, e effettui le verifiche rigorose: è più verosimile che rispetti le regole un’azienda privata che rischia il proprio avviamento, che non un funzionario pubblico che rischia al massimo un trasferimento. Se proprio si deve parlare di “fallimento”, è dello stato, non del mercato. Ma, ribattono i sostenitori del “più stato meno mercato”, lo riconosce lo stesso Governo americano che si è esagerato, tant’è che ha deciso di riportare l’ispezione dei bagagli e la vigilanza degli scali sotto l’autorità federale, stanziando allo scopo 1,9 miliardi di dollari. E così facendo non si accorgono di incappare in un infortunio. Infatti, le compagnie aeree, boccheggianti per gli effetti dell’attacco terroristico, per sopravvivere cercano disperatamente aiuti, sotto forma o di sovvenzioni o di sgravi di costi. Se i controlli a terra non sono più a carico degli aeroporti e quindi delle linee aeree, non lo sono più neppure i relativi costi. E 1,9 miliardi di dollari non sono dunque il prezzo di nuova politica, ma il costo di un rimedio antico; non servono a sopperire a un “fallimento” del mercato, ma a scongiurare un altro tipo di fallimento. Senza virgolette. E senza bisogno di invocare gli economisti defunti.
giugno 14, 2001