Caro Direttore,
“la trasformazione cosmetica dei populisti”: senza avere la tua genialità di trovare le parole per esprimerlo, è quello che pensai partecipando, in remoto, a un lunch talk con Luigi di Maio. La sua lettura dell’introduzione conferma che lo staff della Farnesina non ha bisogno di cosmesi. Nessuno si aspettava le visioni di uno statista: ma le risposte alle domande dei commensali, ospiti educati ma per nulla virtualmente inginocchiati, hanno rivelato un perfetto giovane e volonteroso sottosegretario: che a studiare si impari stupisce solo se a dimostrarlo è proprio chi voleva convincerci che uno vale uno. E poi: chi c’è oltre a lui (Sileri non ha bisogno di metamorfosi)?
I populisti “non fanno più paura”: ma dànno speranza? Non basterebbe neanche che spegnessero tutte e cinque le loro stelle: bisognerebbe che splendessero di una luce diversa. E chi glielo dice a quelli che li hanno votati? Nelle mie campagne elettorali, andavo nelle sezioni che erano state comuniste a spiegare perché bisognava abolire l’art.18: uscivo e i segretari gli dicevano che servivano i voti di chi la pensava come me per battere Berlusconi. Ma la rivoluzione liberale a destra non c’è stata, e a sinistra non è bastata.
E se non l’hanno imparato loro, chi insegnerà ai populisti che la scuola è per gli allievi e non per i sindacati, che salvare le aziende zombie è sprecare soldi e non risolve i problemi, che nella PA si entra per meriti e non per anzianità da precario, che solo la concorrenza produce efficienza e la proprietà pubblica la riduce, che il golden power esteso a tutti i casi ci porta all’autarchia e all’isolamento?
Certo che è meglio se, come Marine Le Pen, si schierano con Israele (costa anche poco, non ci sono israeliani sui barconi). Ma a salvare questo Paese, la trasformazione non basta che sia cosmetica: e neppure che riguardi solo loro.
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maggio 15, 2021