Finora le privatizzazioni, con poche erano eccezioni, ero un indirizzo politico condiviso: che diventino oggetto di critica è già di per sé una notizia. Ancora di più se ciò avviene contemporaneamente da destra e da sinistra, a opera di due personaggi che più diversi non potrebbero essere. I giorni dell’Iri (Mondadori) è di Massimo Pini, voluto da Bettino Craxi nel comitato di presidenza dell’Iri, ove rimase dall’86 al ’92, e oggi vicino ad An. L’economista Marcello De Cecco, che ha scritto prefazione e conclusioni a Le privatizzazioni (Donzelli), è il più autorevole cultore dei grandi economisti cari alla sinistra, John Maynard Keynes e Piero Sraffa.
Pini è esplicito nel dichiarare la propria nostalgia per l’economia mista e depreca che, chiudendo si sia privata l’Italia di una funzione di «coordinamento essenziale delle strategie di politica industriale». De Cecco parte da considerazioni teoriche sui fallimenti del mercato per giustificare l’intervento dello stato-imprenditore; e lamenta la mancanza di «sanità di carattere» del sistema pubblico che non ha saputo nominare «manager onesti e capaci». Pini ha Prodi nel mirino: più che i fatti dell’Iri, sono i suoi «misfatti» quelli che gli preme narrare. Ma i resoconti che egli ci dà delle lotte di potere finiscono per dimostrare, meglio di cento saggi teorici, che è proprio l’impossibilità di risolvere il problema del ricambio dei vertici ciò che condanna l’impresa pubblica.
Il 1992 è l’anno di svolta. Mani pulite, la svalutazione e Maastricht. L’Europa, riconosce Pini, «ridimensiona l’obiettivo statale dell’utilità sociale il cui perseguimento viene affidato [...] al regolare funzionamento del mercato». «L’Italia non può più permettersi nessuna politica indipendente» scrive De Cecco. E critica Amato e Ciampi per la fretta con cui si accinsero allo smobilizzo dell’industria pubblica.
I giudizi di Pini sono pesanti: la svalutazione non fu causata dal debito ma da Giuliano Amato che, tassando i depositi bancari, fece crollare la fiducia dei mercati; l’Iri non era in crisi, solo in difficoltà finanziarie; Mani pulite fu usata dai privati per appropriarsi a basso prezzo dei pezzi migliori delle aziende di stato.
E queste conclusioni, proprio perché nascono da una critica comune, dovrebbero suscitare qualche imbarazzo a sinistra.
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gennaio 18, 2001