Quirinali – Il vero destinatario del messaggio
L’ormai famosa frase sugli “Harry Potter della componente moderata del centrodestra” potrebbe essere presa ad esempio di effetto inintenzionale delle azioni intenzionali. Per causa di quella frase, la maggior parte dei commenti all’intervista di Massimo D’Alema su Repubblica di sabato scorso hanno finito di polarizzarsi sulla polemica con Marco Follini e l’UDC, mentre sono finiti nel cono d’ombra i suoi aspetti più rilevanti: il fatto che l’ha generata e il soggetto che ne è il destinatario.
Il fatto è l’ambizione quirinalizia di Silvio Berlusconi, “un pericolo” secondo D’Alema, come sintetizza anche il titolo apposto alla sua intervista. Il destinatario è il centrosinistra: perché, soprendentemente, nessuna voce si era ancora levata a denunciare lo “scenario pericoloso” creato da questo “riferimento di Berlusconi”; e perché, se con questa autocandidatura “si rompe con il metodo della ricerca del massimo consenso”, la colpa sta nel non essere riusciti a mettersi d’accordo sulle regole che avrebbero potuto radicare in Italia un “bipolarismo mite”. “Mi riporta alla mente ”, lascia scivolare lì D’Alema, “il fatto che, anziché rimproverare a Berlusconi la responsabilità storica di avere impedito una intesa sulle riforme costituzionali, noi abbiamo avuto una interminabile, logorante polemica interna”. Pur celate nell’understatement, le parole verso chi, nell’Ulivo, l’aveva dipinto come “inciucista”, hanno un’asprezza non diversa da quelle riservate agli avversari nella CdL. Di quella polemica, D’Alema ha pagato il prezzo personale, ma il centrosinistra continua a pagare il prezzo politico.
Eppure non c’è scampo: da un’intesa si deve passare per risolvere la questione democratica di un maggioritario incompiuto nelle regole e quindi passibile di assumere “un contenuto del tutto nuovo, in senso presidenzialista”. Il tema aperto da Berlusconi riguarda il massimo livello istituzionale; ma il problema è analogo a quello venuto alla luce in occasione delle recenti nomine Antitrust. Provocando, in questo caso, l’immediata reazione di Romano Prodi. Quelle nomine, ha fatto notare Marcello Clarich sul Sole 24 Ore del 7 Gennaio, sono state fatte secondo regole nate con il proporzionale e passate immodificate nel maggioritario. Non sono le nomine di Guazzaloca e di Pilati ad essere illegittime, sono le norme che non sono più attuali e che, con il maggioritario, possono consentire “l’occupazione” di snodi istituzionali fondamentali.
Ma di regole si discute con i vertici: ed è questo, a mio parere, il messaggio intenzionale dell’intervista di D’Alema. Alla visione, fatta di tattica elettoralistica e di tecnica ablativa. che punta a staccare pezzi dalla Casa delle Libertà, si contrappone la visione strategica di un incontro al vertice in cui stabilire le regole del “maggioritario mite”. Di là, dunque, Forza Italia. E di qua? Di qua “le forze radicate che rappresentano una parte della storia del Paese, […forze] in grado di formare classi dirigenti”. “Nostalgia dei grandi partiti del passato?” lo incalza l’intervistatore. “No”, risponde naturalmente D’Alema: ma aggiunge “questo lavoro ha bisogno di grandi forze, radicate nell’opinione pubblica”. Non credo di forzarne il pensiero: all’incontro al vertice in cui si dovrebbero stabilire le regole del “maggioritario mite”, da una parte ci sta Forza Italia, dall’altra i DS. In questo schema non c’è un ruolo per l’UDC e i centristi della maggioranza.
Che questa chiusura politica sia scivolata nell’ingiuria, può apparire un di troppo o inutile o rischioso. Inutile nel caso in cui nel 2006 si vinca; perché allora basterebbero i nostri voti a bloccare la scalata di Berlusconi al Colle. Rischioso, perché nel caso in cui si perdesse, sarebbero proprio i voti dell’UDC, oltre a quelli di AN, ad essere necessari. Ma è anche vero che, alla fine, a propiziarli non saranno né la sferza dell’insulto né la lusinga del corteggiamento: assai di più conteranno ambizioni personali e calcoli politici. In ogni caso, è con i capi che si fanno gli accordi importanti: anche se qualcuno li chiamerebbe ancora inciuci.
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gennaio 11, 2005