Non bisogna cambiare il leader, bensì le logiche che governano la coalizione ulivista
A narrare delle convulsioni al vertice del controsinistra c’è addirittura una rubrica di Paolo Franchi sul Corriere della Sera. E’ quindi comprensibile che ci sia chi si domanda se le cose non andrebbero meglio cambiando il leader.
Comprensibile ma sbagliato. Non solo perché Prodi resta il candidato di gran lunga più forte, ma soprattutto perché i guai che affliggono il centrosinistra, molto più che dalla personalità dei suoi leader politici, dipendono dalla sua struttura: una coalizione in cui nessun partito é così più forte degli altri da avere il diritto indiscusso di esprimere il capo; in cui un leader proveniente dalle fila dal partito più grosso sarebbe poco accettato dagli alleati prima ancora che dagli elettori. Questi fatti non cambierebbero se al posto di Prodi ci fosse un altro, esponente di partito o outsider come fu egli stesso nel ’96.
Cose risapute, si dirà: ma proprio il fatto che ci sia chi invece si guarda intorno alla ricerca di un altro candidato, testimonia di come l’opinione pubblica di centrosinistra fatichi ancora a prendere coscienza di questa sua difficoltà strutturale. C’era dieci anni fa: ma ci si faceva beffe del “partito di plastica” messo su in pochi mesi da Berlusconi, che sarebbe stato senza dubbio sbaragliato dalla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto. Nel ’96 l’Ulivo vinse politicamente per la sua ventata di innovazione; ma tecnicamente fu con la desistenza che riuscì a superare il problema strutturale della coalizione. E quanto provvisoriamente fosse lo si vide un anno e mezzo dopo, con la caduta di Prodi, con i tre governi con cui portò a termine la legislatura. E con la riedizione del 2001.
Oggi la desistenza è improponibile, apparirebbe un trucco in contraddizione con lo spirito del maggioritario. Prodi, per costruire una coalizione che vada da Bertinotti a Mastella, si trova impegnato in un defatigante torneo di scacchi con più giocatori in simultanea. E così l’asse politico della coalizione si sposta in due direzioni: verso sinistra, ed è il più appariscente; e all’indietro, ed è il più grave. Diventa infatti evidente che tutto è come 10 anni fa: il centrosinistra è composto “di due mondi non esattamente compatibili a priori, che hanno un fortissimo bisogno reciproco.” (Edmondo Berselli, La Repubblica, 24 Dicembre).
Se non risolve questo problema strutturale, nel 2006 il centrosinistra starà ancora a vantare l’incontro di diverse culture riformiste. E Berlusconi – nonostante i conflitti di interesse, le leggi ad personam, le gaffe internazionali, il dissesto nei conti pubblici – apparirà ancora come il politico che, risolto da un decennio il problema coalizionale tipico del maggioritario a turno unico, propone agli italiani un diverso rapporto con lo stato, e promette poche cose intuitive.
What’s the matter with Kansas? – “Che sta succedendo nel Kansas?” – si chiede Thomas Frank nel suo ultimo libro. Cerca di capire perché oggi, in quella che una volta era una roccaforte dei democratici, gli ex operai siano a larghissima maggioranza per i repubblicani; hanno pagato il conto della grande svolta a destra da Reagan a Bush figlio, ma votano apparentemente contro i loro interessi. Per evitare di passare i prossimi cinque anni a chiedersi “what’s the matter with Italy”, il centrosinistra deve rendersi conto che il mondo è cambiato. Non può continuare a proporre al Paese il proprio eterno problema delle culture da fondere. Deve invece pensare a ciò di cui l’Italia ha bisogno: riprendere la strada dello sviluppo. E quindi eliminare le sacche di rendita con una massiccia dose di concorrenza, mobilitare le energie di tutti, riscoprendo il premio al merito. Nel garantire una rete di protezione per chi proprio non ce la facesse, Prodi è credibile più di chiunque altro. E’ sulla prima parte del suo discorso che deve riuscire a trascinare gli italiani. Questa è la sua missione: ed “è la missione che definisce la coalizione”. L’ha detto Donald Rumsfeld, e quindi la frase farà storcere la bocca a qualcuno. Per vincere, sarà il caso di abituarcisi.
gennaio 7, 2005