La maggiore flessibilità ha dei prezzi: senza rigore si rischia di affondare
“Nella riforma del patto sono usciti i ragionieri ed é entrata la politica”: nel paragonare la politica alla finanza creativa, il commento di Geronimo sul Giornale é esatto aldilà delle intenzioni dell’autore. Perché ad entrare non sarà la politica di finanziare riforme che riducano il deficit del sistema pensionistico pubblico, né di ridurre le tasse in modo tale da rilanciare l’economia, né di investire per avvicinare gli obbiettivi di Lisbona. Entrerà invece la “politica” di giustificare aumenti eccessivi agli statali o il salvataggio di Alitalia, insomma l’incapacità di controllare la spesa pubblica.
La novità del patto non sta nell’aver cambiato un parametro numerico in sé arbitrario, né di avere modificato formalmente i poteri della Commissione rispetto ai governi: introducendo elasticità negli scostamenti e nei tempi per eliminarli, lasciando che si tengano in debito conto spese definite in modo generico (aiuti internazionali, obbiettivi politici europei, unità europea) é aumentata a dismisura la discrezionalità dei governi, e la probabilità che sia usata per mutue assoluzioni di politiche permissive.
Ma questo ha un prezzo: a quella dei Governi corrisponderà una maggiore discrezionalità dei mercati nel giudicare il merito di credito dei singoli paesi. Se gli interessi a lungo termine, oggi praticamente identici nell’eurozona, incominceranno a divergere, il costo per chi, come noi, ha un debito enorme, potrebbe superare i margini di manovra che ci dà il nuovo patto.
Questo giro ha messo nelle mani di Berlusconi se non un poker un full: si libera dall’ossessione delle manovre correttive, può rendere meno simbolica la riduzione delle tasse, é assolto dall’accusa di essere stato troppo cedevole verso Francia e Germania. La sinistra, se chiede politiche più incisive, espone il fianco a Bertinotti che invoca un “nuovo trattato sociale”; se fa la vestale del rigore va incontro a un suicidio assurdo (Prodi per primo ha parlato di patto “stupido”). Resta il rischio del rating: ma le Cassandre hanno più ragione che voti.
marzo 31, 2005