Nella vicenda Telecom, tra polemiche a livello istituzionale, roventi dibattiti sugli organi di informazione, sanguinose tempeste in Borsa, due domande sono rimaste finora senza risposta: perché Olivetti ha varato il piano? qual è stata la causa che ha scatenato una reazione così imprevista e così violenta?
La soluzione di accorciare le distanze tra il debito e la fonte principale degli utili del gruppo sembrava l’uovo di Colombo per concludere la vicenda Opa e dedicarsi solo allo sviluppo. L’altra soluzione, quella di fondere direttamente Telecom in Tecnost, era lo schema Finanziario che, sia pure senza impegno, era stato ipotizzato nel caso li risposta all’Opa superiore al 67%. Dato che questa invece si era fermata al 52%, lo schema risultava comunque impraticabile: in caso di fusione, Olivetti avrebbe avuto circa il 25% dell’azienda risultante dalla fusione Tecnost-Telecom, che quindi sarebbe risultata scalabile senza neppure dover lanciare l’Opa totalitaria. Un’eventualità che per gli scalatori sarebbe stata una beffa, e che, provocando un’uleriore fase di instabilità al gruppo, andava contro gli impegni assunt i con il Governo. Invece questo era uno dei casi in cui ristrutturazione finanziaria e ristrutturazione industriale coincidevano. Colaninno incominciava a scontrarsi con le difficoltà su cui si erano infrante le ambizioni di Vito Gamberale, la volontà di Guido Rossi, l’attivismo del «very powerful chairman» Rossignolo. Secondo lo studio di una grande merchant bank inglese, nel panorama mondiale Telecom è la società di telefonia fissa peggio gestita e Tim quella mobile meglio gestita. Fatto non sorprendente, dato che Telecom è l’insieme di tre oggetti diversi: l’azienda della rete fissa ha come «testa», la vecchia Stet, la finanziaria strumento delle politiche di Agnes e Pascale (oltre 4700 persone) e ha «in pancia» una serie di partecipazioni tra cui la Tim. Chiunque abbia affrontato problemi analoghi sa che c’è una sola ricetta: tagliare il flusso finanziario che alimenta la testa, eliminare ogni distrazione o ogni scusa, mettere a nudo la realtà, e concentrare tutto su un unico obbiettivo. Chi volesse, si legga Il caso New Holland di Riccardo Ruggeri (Baldini&Castoldi): come si trasforma un’azienda fallita in leader mondiale, gestendo un fatturato di 6 miliardi di $, prodotti in 21 stabilimenti in 4 continenti e venduti in 140 Paesi con un head quarter di 20 (sì, venti) persone. Queste sono le nuove frontiere dell’efficienza: e solo separando i conti delle varie attività (fisso, mobile, internet, attività non strategiche) e con un head quarter rifatto in un luogo «vergine» si può sperare di risolvere il problema. Ci vuole una «testa» nuova e terza rispetto ai vari business, per coordinarli anziché subordinarne uno all’altro. Così ci sono 4 soggetti distinti per concludere alleanze, settoriali o globali, da posizioni di forza o di debolezza, per business maturi o nascenti. I ministri con mentalità più industriale se ne erano facilmente convinti, nella riunione di venerdì 24 — doveva essere tra pochi tecnici, e invece fu al l’ultimo momento molto allargata — si raccolsero le opinioni del Tesoro, nella sua duplice veste di titolare della golden share e di detentore del 3,95% delle azioni ancora non vendute. Reazioni evidente mente positive, tant’è che sabato 25 da Washington il Ministro del Tesoro previde «una riflessione non lunga, visto che il 28 c’è il consi glio di amministrazione».
La risposta alla prima domanda pare dunque evidente. Cola ninno è andato avanti tranquillo perché il progetto risolveva tutti i problemi, finanziari, strategici e industriali, e perché tutto il Governo era d’accordo.
Invece poi qualcosa va storto. Due ore dopo i tempi per la «riflessione non lunga» diventano «quelli necessari». Alle 20.35 se gue un’ulteriore precisazione per bloccare voci che avrebbero potuto provocare «rischi di turbativa di mercato», precisazione che avrebbe «colto di sorpresa» il Presidente della Consob Luigi Spaventa, tanto da indurlo a chiedere «in una concitata conversazione» durante un ricevimento, «chiarimenti a quattr’occhi al Ministro del Tesoro». Segue la richiesta Consob di precisazioni a Olivetti e la personale dichiarazione di Spaventa in cui l’azienda viene accusata di avere «violato il galateo del mercato». E incomincia la bagarre in Borsa e sui giornali. Perché?
Il mercato speculava alla grande sulla fusione Tecnost-Telecom: gli azionisti di risparmio si preparavano a condizionarla, e quelli ordinari attribuivano già a Tecnost il valore relativo ad una società industriale, mentre le holding subiscono uno sconto rispetto al valore delle loro parti; inoltre così Telecom sarebbe stata una società scalabile addirittura senza Opa. Presi in contropiede, i grandi fondi hanno reagito chiamando il fallo, forse incoraggiati dal succedersi delle notizie da Washington. Al punto che sí è assistito a quella che probabilmente è una prima mondiale: il «Financial Times» che butta il suo peso a sostegno di quelli che invocano dal Governo l’impiego della golden share. E poi, chiedere l’intervento di questo che è lo strumento discrezionale per eccellenza, per avere garanzia che le società siano ontendibili, è una contraddizione logica alquanto curiosa.
Si è anche ipotizzato che i grandi investitori istituzionali solo a questa condizione sarebbero disposti ad investire in Italia. Ritorsíone pretestuosa: le poison pill hanno inventate in America, dopo i barbari alle porte» degli anni Ottanta le grandi imprese americane hanno trovato nel Delaware le misure antiscalata, per scovare aziencontendibili ormai bisogna andare all’estero. E poi Telecom rimane scalabile, ma dall’alto di Olivetti, quindi costa di più. L’impiego della golden share è totalmente ingiustificato in termini di diritto e inopportuno in termini di mercato. Se il Tesoro vuole dare al mercato società contendibili, ha in Eni ed Enel due meravigliose occasioni.
ottobre 6, 1999