“Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?” Di tempo ne è passato da quando Henry Kissinger avrebbe detto la famosa battuta. Oggi potrebbe chiamare l’Alto Commissario dell’Unione Europea per le relazioni estere, Lady Ashton: ma una volta c’è la Libia, l’altra il Mali, poi l’Egitto, oggi la Siria, e le bollette del telefono aumentano sempre. Il premier Letta ha avuto un’idea brillante: se non possiamo dargli un numero di telefono unico, diamogli un numero di canale unico. Fare la Radio Tv europea (e, ça va sans dire, pubblica), ha annunciato, sarà la proposta politica qualificante del semestre europeo a guida italiana.
Ben lo può dire, il nostro premier: chi meglio di noi conosce quanto delicati siano i rapporti tra media e istituzioni, tra televisione e politica? Chi meglio di noi sa quanto perniciosa, deleteria, diciamo pure devastante, sappia essere l’irrompere, in quello che prima era l’ordinato recinto delle televisioni pubbliche, il disciplinato ordinamento dei loro canali, di un tycoon proprietario di una televisione privata?
Noi abbiamo perfezionato negli anni un sistema di controllo che, immodestamente, riteniamo perfetto. Consiglio di Amministrazione, Commissione parlamentare, Autorità indipendente costituiscono, grazie anche alle diverse modalità di elezione dei loro componenti, una triade che assicura unità della governance e pluralismo del prodotto. Unità e pluralismo, non è questa, a ben vedere, l’Europa? 27 Paesi uniti da un solo obbiettivo: l’Europa!
Di che parlerà una televisione europea? Non di storia, ma neppure di tutto quanto è legato alla storia, architetture, pitture, lettere, musica: perché la storia europea è quella degli stati nazione, una delle più grandi invenzioni politiche che si ricordino. Non di attualità: si veda cosa sta succedendo con la Siria. Non di macroeconomia: sarebbe una gara tra national champions. Non di politica monetaria: indelicato se c’è in corso qualche campagna elettorale. Si parlerà di futuro, ma non di quello del lavoro, nostro e dei nostri figli, ma dei grandi progetti politico-morali, di politically correct, il vero esperanto europeo. Il copione sarà “più Europa!”: e in questo Enrico Letta, va riconosciuto, è un interprete di consumata abilità.
Non è tuttavia l’unico copione disponibile. C’è, per dirne uno, quello dell’olandese Frans Timmelsmann, non una testa calda, due volte ministro, e proprio agli affari europei. Lui propone di modificare le leggi nazionali quando c’è il rischio che la Corte Europea le possa interpretare in un modo non previsto o voluto dal legislatore nazionale. Il suo motto è “Europeo se necessario, nazionale quando possibile”. Noi auguriamo a Letta si superare le trappole di cui è disseminato il cammino del suo Governo fino al semestre italiano. Ma gli auguriamo, ci auguriamo, che, pensandoci su, trovi qualcosa di meglio a cui intestarlo.
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agosto 31, 2013