L’obbligo di Opa non rafforza i piccoli azionisti

gennaio 29, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Rafforzare “la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza” e’ uno dei criteri indicati dalla legge che delega il governo a modificare la disciplina delle societa’ quotate. In apparenza l’OPA obbligatoria, in quanto assicura la parita’ tra tutti gli azionisti, risponde a questa indicazione. Al contrario invece proprio per tutelare gli interessi degli azionisti con piccole quote del capitale bisognerebbe eliminare l’obbligo dell’OPA.

Le societa’ di capitali consistono in un insieme di contratti, ossia di accordi volontari tra privati: l’intervento della legge si giustifica solo se serve a favorire o a proteggere un bene collettivo. Come vedremo, la contingenza italiana presenta specificita’ che inducono a pagare il prezzo di un eccesso di protezione, e ad accettare il compromesso, contenuto nella bozza Draghi, di introdurre l’OPA obbligatoria totalitaria, seppure con parametri caratteristici un po’ diversi.
1. I risparmiatori e gli azionisti di minoranza, a differenza degli amministratori e degli azionisti che concorrono al controllo, possono scegliere di investire in qualsiasi impresa. Questa liberta’ comporta che essi non siano interessati dall’andamento di una specifica impresa, ma da quello dell’intero sistema economico.
Essi dispongono di un metodo a basso costo per annullare il rischio non sistematico, cioe’ non comune a tutti gli investimenti: la diversificazione. Chi diversifica ha interesse ad un sistema che massimizzi il valore dell’insieme di tutte le imprese, non a regole che trasferiscano ricchezza tra azionisti di imprese promotrici e imprese oggetto di scalata: e’ infatti probabile che nel suo portafoglio siano presenti sia le une che le altre.
2. Imporre una ripartizione omogena dei guadagni conseguenti al mutamento del controllo societario non solo non e’ necessario, perche’ esiste la possibilita’ di diversificare; anzi e’ contrario all’interesse generale, perche’ vi sono molti esempi di operazioni sul controllo societario che producono guadagni per l’insieme degli azionisti, ma che non si verificherebbero se ci fosse l’obbligo di dividere in modo omogeneo il guadagno tra tutti gli azionisti. Ogni intervento volto a proteggere i giocatori che hanno scelto di non diversificare punisce gli investitori che hanno eliminato il rischio attraverso la diversificazione. E danneggia gli uni e gli altri perche’ riduce il numero delle operazioni sul controllo capaci di aumentare il valore dell’impresa. ”
E’ un’idea sbagliata ridurre la ricchezza della massa dei prudenti per il dubbio vantaggio degli speculatori”.
3. La possibilita’ di scalate limita infatti i costi di monitoraggio del comportamento degli amministratori e ne agevola la sostituzione. Se qualcuno offre di acquistare il controllo di un’impresa ad un prezzo superiore al prezzo di mercato vuol dire che pensa di riuscire a produrre utili maggiori.
Se ne avvantaggia sia chi vende – perche’ riceve un sovrapprezzo – sia chi non cede le proprie azioni -perche’ godra’ dei miglioramenti che apporta il nuovo gestore. Se ne avvantaggiano anche gli azionisti di societa’ non oggetto di scalata, perche’ la sola prospettiva di perdere il controllo indurra’ gli amministratori a migliorare il rendimento della loro societa’. Lo conferma un’impressionante evidenza empirica, le offerte pubbliche essendo il fenomeno economico piu’ studiato del secolo.
Secondo Easterbrook e Fishel, nel mercato americano in media i titoli delle societa’ oggetto di offerta subiscono un apprezzamento del 30% che si aggiunge al rialzo registrato nel mese che precede l’offerta; quando l’offerta ha successo gli offerenti pagano un sovrapprezzo medio del 50%; le azioni non acquistate non ritornano al valore ante scalata, ma consolidano un sovrapprezzo medio del 30%. Questi aumenti di prezzo dei titoli riflettono il valore attuale dei guadagni futuri, rappresentano quindi guadagni veri per la collettivita’.
Per converso, le imprese che adottano strumenti anti-scalata subiscono riduzioni immediate dei prezzi dei loro titoli.
4. Se si impone allo scalatore di acquistare anche le quote di minoranza allo stesso prezzo pagato per il controllo, lo si spoglia delle plusvalenze che pensava di produrre con la propria gestione. Venendo meno il suo incentivo, non si realizza il passaggio del controllo a chi avrebbe gestito meglio l’impresa.
Se si impedisce al potenziale scalatore di lanciare il suo attacco senza disporre di una quota iniziale sufficientemente alta, e se la proprieta’ e’ dispersa, la scalata diventa impossibile, perche’ gli altri azionisti hanno interesse ad adottare la strategia del free rider (Grossman e Hart).
5. Ricapitolando i passi del ragionamento:
- la strategia dell’investitore avverso al rischio e’ la diversificazione
- quindi il suo interesse e’ nella crescita economica del sistema

- questa e’ favorita dalle scalate
- l’obbligo di OPA totalitaria, ad un prezzo superiore al prezzo di mercato disincentiva le operazioni sul controllo.
Ne discende che:
- l’obbligo di OPA totalitaria e’ in contraddizione con l’obbiettivo posto dalla legge delega: rafforzare “la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza”
6. L’OPA obbligatoria viene invocata per tutelare gli azionisti di minoranza dal rischio che il nuovo azionista di controllo intenda spogliarli dei loro diritti. Si sarebbe di fronte a un caso di fallimento del mercato che giustificherebbe l’intervento normativo. In realta’ si tratta di un fallimento dello stato, incapace di rendere efficace la tutela dei diritti fiduciari.
Le disfunzioni della giustizia civile vengono lamentate ad ogni inaugurazione di anno giudiziario; ma ci sono valide ragioni per temere anche un suo eccessivo attivismo.
Effettivamente in molte aziende a base azionaria ristretta gli azionisti di minoranza hanno investito in virtu’ di un rapporto di fiducia personale verso l’azionista di maggioranza.
L’OPA obbligatoria offre loro una facolta’ di recesso in caso di cambiamento del controllo dell’azienda, mira a rassicurare gli investitori e quindi favorisce l’allargamento del mercato. Ma se lo scopo e’ quello di eliminare un timore che potrebbe allontanare dall’investimento, non ha senso eliminarlo pro-rata: la logica stessa che ne fa accettare l’introduzione impone che l’OPA obbligatoria sia anche totalitaria.
7. La rilevanza delle aziende a base azionaria ristretta, la sfiducia-timore per la via giudiziaria, anche una certa inerzia culturale consigliano di estendere l’OPA obbligatoria alla totalita’ delle aziende quotate, evitando regimi differenziati (Pagano, Panunzi, Zingales). Ma, come si e’ visto, per lasciare il massimo spazio ai benefici effetti della contendibilita’ del controllo, e quindi interpretare fedelmente gli obbiettivi indicati nella delega, sarebbe da evitare ogni obbligo di legge.
Risulta dunque necessario alzare al 40-45% la soglia per l’OPA obbligatoria, che la bozza Draghi prevede attualmente al 30% (eliminando la facolta’ di ridurla in alcuni casi al 15%: ma su questo ormai largo e’ il consenso), respingendo fermamente la possibilita’ di evitare l’OPA obbligatoria quando il limite del 40-45% fosse stato superato con un’OPA preventiva.
Per la stessa ragione, anche il prezzo a cui lanciare l’OPA dovrebbe essere reso meno penalizzante per chi lancia l’OPA di quanto non preveda attualmente il testo proposto dal Governo.

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