Il Presidente del Consiglio si sente ingannato da decisioni del tutto diverse da quelle che gli erano state prospettate; il Ministro delle Comunicazioni ricorda i limiti antitrust per cui chi ha TV non può possedere giornali (e viceversa?) e giudica improprie le accuse mosse all’Autorità delle comunicazioni; dall’Economia si esprime prudenza sull’uso della golden share; per la sinistra radicale bisogna ripubblicizzare e basta.
Tutto si muove sul solo piano dell’azienda Telecom: così si ragiona sulle conseguenze eventuali e non sulle cause evidenti. Non si va al cuore del problema, che non sta in Telecom, ma nella catena delle società controllanti, Olimpia, Pirelli, Camfin. E il problema si chiama la decisione del 2001, ben dopo la correzione dei corsi azionari seguita allo scoppio della bolla Internet, di prendere il controllo di Telecom acquistandone il 23% a un prezzo superiore ai 4€ per azione. Gli effetti di quella decisione stanno nei libri di Olimpia, dove le azioni Telecom sono iscritte a un valore molto superiore a quello di Borsa, con il rischio di essere costretti a svalutarlo; sta nella possibilità che Consob obblighi a consolidare i conti; sta nella necessità di dover pagare un dividendo pari al 90% dei profitti Telecom, per sovvenire alle necessità finanziarie a monte e sostenere il valore del titolo.
Telecom con tutto questo non c’entra. Il debito in Telecom, durante la gestione Colaninno, era salito a 19 mld € per operazioni di natura industriale, mentre il debito di 17 mld €, contratto per l’OPA, era stato lasciato in Tecnost Olivetti, e stava a fronte del 53% di Telecom. Il debito in Telecom aumentò per effetto della decisione di Olimpia, che ora ne detiene il 18%, di fonderla con Olivetti, aumentò per l’acquisto del flottante di TIM e diminuì di 14 Mld€ per dismissioni. Eppure anche l’attuale indebitamento è poco più di tre volte l’EBTDA, valore accettabile per una utility: un limite all’espansione, non un carico insopportabile.
Se i problemi sono ai piani alti, è ai piani alti che vanno risolti. Il mercato, là dove funziona, é perfettamente capace di farlo: con nuovi soci che si affianchino ai vecchi, con il cambiamento delle strategie e del management. Perché usare Telecom per risolvere i problemi della catena di controllo? E’ utile per Telecom vendere ( qui si che la “s” sembra appropriata) la partecipazione in Brasile? E’ utile fare marcia indietro rispetto a un anno e mezzo fa, e quindi rinunciare a unificare all’interno di Telecom tutte le piattaforme di trasmissione dati, dai satelliti al mobile al DvB-H all’ADSL, diversificando invece le offerte commerciali? E soprattutto, è credibile che basti una nuova struttura interna e un accordo di commercializzazione per convincere i mercati che Telecom è diventata una “media company”, dunque da valutare con multipli più alti, vero obbiettivo a cui è finalizzata tutta l’operazione?
Il Governo, più che a spegnere fuochi e prevenire danni, dovrebbe pensare a come promuovere il funzionamento dei mercati. Innanzitutto scartando tutte le vie di fuga non di mercato, salvataggi impropri, ripubblicizzazioni di miglia ultime e penultime, fantasiose società di reti. Anche senza ricorrere alla golden share si può significare che ogni eventuale acquirente di una infrastruttura fondamentale per il Paese sarà vagliato quanto alle garanzie etiche, finanziarie, operative che offre.
C’è da fare in proposito una considerazione di carattere generale: questo Paese avrà grande bisogno di mobilitare capitali privati per opere pubbliche, e competenze d’impresa per aumentare la produttività dell’amministrazione. Ha quindi un interesse primario a sviluppare la cultura della concessione: presso gli utenti, evitando di assecondare chi populisticamente le demonizza; e presso i concessionari, dimostrando di essere controparte affidabile (e questo vale anche per il Ministro Di Pietro).
Al Governo, alle Autorità di mercato e di settore, si chiede di offrire agli azionisti una rappresentazione chiara del quadro di regole entro cui la società si può muovere. Già questo servirà a suscitare e selezionare interessi. Alla fine starà agli azionisti di Telecom giudicare se il piano presentato da Telecom è quello che crea il maggior valore per la loro società.
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settembre 14, 2006