L'intervento in aula del senatore Tonini

maggio 21, 2004


Pubblicato In: Varie

b>Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi senatori, il nostro Paese, l’Europa, l’Occidente e per altri versi l’Iraq, il Medio Oriente, il mondo intero stanno vivendo ore drammatiche, nelle quali è in gioco il futuro dell’umanità.

611a SEDUTA PUBBLICA. SOMMARIO STENOGRAFICO

Giovedì 20 Maggio 2004 – (Pomeridiana)

Presidenza del presidente PERA – Indi del vice presidente CALDEROLI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Tonini. Ne ha facoltà.

TONINI (DS-U). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi senatori, il nostro Paese, l’Europa, l’Occidente e per altri versi l’Iraq, il Medio Oriente, il mondo intero stanno vivendo ore drammatiche, nelle quali è in gioco il futuro dell’umanità. Tremila italiani, con dignità, professionalità e umanità, stanno facendo il loro dovere, stretti tra la necessità militare di difendersi dal fuoco di bande armate e la necessità etica e politica di farlo senza coinvolgere la popolazione civile.
Un soldato italiano, un giovane di 23 anni, è tornato da Nasiriya in una bara. Nel frattempo, un mezzo aereo americano ha fatto fuoco per errore contro una festa di matrimonio, uccidendo a decine uomini, donne e bambini. Grande è la preoccupazione di tutti noi. Grande deve essere allora il nostro senso di responsabilità del quale è parte lo sforzo di onestà intellettuale a cui ciascuno di noi è chiamato.
È in forza di questa duplice motivazione, senso di responsabilità e onestà intellettuale che io ed alcuni senatori del Gruppo DS (i senatori Morando, Debenedetti, Turci, Petruccioli, Passigli e Ayala), ci uniformeremo comunque alla decisione assunta dal centro-sinistra e dalla lista Uniti per l’Ulivo e dal nostro Gruppo di chiedere il rientro del contingente italiano (decisione che non riusciamo a condividere), in ossequio a quella regola di maggioranza nella vita interna ai Gruppi di coalizione che in molti abbiamo sempre sostenuto come strumento indispensabile, nel bipolarismo, per far incontrare tra loro nelle coalizioni il valore dell’unità con quello del pluralismo.
All’indomani dell’atroce attentato di Nasiriya, nel quale persero la vita diciannove italiani, una larga maggioranza del centro-sinistra si ritrovò in una posizione politica e parlamentare che non chiedeva il ritiro del nostro contingente, ma l’impegno del nostro Governo per ottenere una svolta a livello internazionale, che riportasse in seno all’ONU la gestione della crisi e il governo della transizione irachena.
La svolta, dicemmo, e non il ritiro è il nostro obiettivo. Potremo rassegnarci a chiedere il ritiro solo quando dovesse risultare impossibile la svolta. Dovremo farlo, a quel punto, con rammarico nella convinzione che si tratti di una sconfitta della politica e non di una vittoria della pace.
L’occupazione militare in atto in Iraq sta infatti alimentando una guerriglia diffusa, che cerca di conquistare i cuori e le menti del popolo iracheno, con l’obiettivo di proclamare l’insurrezione generale contro le truppe occidentali. Dalla situazione di occupazione bisogna quindi uscire e in fretta, restituendo piena sovranità al popolo iracheno. D’altra parte il semplice ritiro delle forze occupanti, senza un accordo sulla transizione innanzi tutto tra le componenti della variegata società irachena finirebbe per aprire la strada non alla pace, ma alla guerra civile.
È per questo che voci non sospette di collateralismo nei riguardi della Casa Bianca, come quella del presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, il cardinale Renato Martino, o quella del presidente egiziano Mubarak, o quella del candidato democratico alle presidenziali americane, John Kerry, ci dicono che ritirare le truppe prima del 30 giugno, prima della stabilizzazione del quadro iracheno, “sarebbe una follia”.
L’impegno del Governo italiano per la svolta irachena, signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, non c’è stato. Anziché premere sull’Amministrazione americana per la svolta in senso multilaterale, il Governo, il suo Governo, si è appiattito sulle posizioni di Washington, vantandosi di esserne l’alleato più fedele, anche nei momenti meno opportuni.
E tuttavia, senza il Governo italiano, la svolta da noi auspicata ha cominciato a prendere forma nel piano Brahimi. Messa di fronte all’orrore dei crimini che ha consentito e addirittura incoraggiato e al rischio di essere travolta dai propri errori, l’Amministrazione americana sta mutando radicalmente la propria strategia.
Le curve sulla strada di Brahimi sono molte ed insidiose; tuttavia non tutto è perduto. La svolta oggi non c’è ancora, forse è più vicina; certamente non è più lontana. Non esistono quindi, per fortuna, le condizioni per dare per perduta la situazione e rassegnarsi a chiedere il ritiro del nostro contingente. La fiammella vacilla ma è ancora accesa.
Non possiamo essere noi, del centro-sinistra italiano, noi che ci siamo battuti per la svolta multilaterale contro un Governo come quello da lei presieduto, signor Presidente del Consiglio, a soffiare su quella fiammella. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e UDC).

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