dalla rubrica Peccati Capitali
“La straordinarietà di Twitter consiste nel fatto che è riuscito a rendere irrilevanti le immagini”. Se a scriverlo, ovviamente su Twitter, è Massimo Bucchi, quello che pubblica su Repubblica vignette che sovente sono un editoriale tra gli editoriali, c’è di che riflettere. Dobbiamo aspettarci che i soloni che ci hanno ammonito sui guai della società dell’immagine cambino disco e ci facciano la predica su quelli della società dei tweets?
Delle immagini abbiamo una percezione istantanea, nello scritto dobbiamo percorrere una sequenza articolata nel tempo: le immagini, dicono i semiologi, non hanno bisogno di grammatica. Chiuso nel limite delle 140 battute come la vignetta nella sua cornice, il tweet è una sorta di messaggio-immagine, che si percepisce nella sua unità. Come nella vignetta il tratto deve ridursi all’essenziale, così il tweet obbliga a una salutare cura dimagrante, via i grassi degli aggettivi, le calorie delle ampollosità, i carboidrati della retorica. “Da quando frequento Twitter – scrive ancora Bucchi – parlo con la gente usando pochissime parole e qualche link.” Interessano l’allusione, la provocazione, l’associazione di idee, tutto quello che sta fuori dalla cornice e oltre i 140 caratteri: anche ciò che si immagina non ha bisogno di grammatica.
La pubblicità vuole sedurci con le sue immagini patinate, i maître-à-penser convincerci con i loro ragionamenti ben confezionati. Peccato capitale è credere che quella sia la “verità”. La vignetta con il suo tratto essenziale, il tweet con la sua sintetica brevità ci ricordano che a contare sono soprattutto le interpretazioni.
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dicembre 6, 2011