“Il capitalista privato che spolpa Taranto ed esporta fondi neri” cosi Massimo Giannini su Repubblica di giovedì, con riferimento alla gestione dei Riva.
“Spolpa” Taranto? Con i Riva, Taranto produceva 8, perfino10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, dando lavoro a oltre 15.000 persone; oggi saremmo contenti con 5. “Esporta fondi neri”? Il 12 Novembre Ansa informava che la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del fascicolo ‘contenitore’ da cui sono nate le varie indagini sui Riva e sui professionisti che erano finiti indagati a vario titolo per bancarotta, appropriazione indebita, riciclaggio e reati fiscali. E il 5 luglio 2019 il Tribunale di Milano ha assolto in primo grado Fabio Riva dall’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Ilva, perché il fatto non sussiste. Non si può non riflettere su quanto queste vicende abbiano prodotto, come afflizioni alle persone e come contribuito alla rovina dell’azienda.
I “fallimenti” hanno sempre una causa, ciascuna sua propria: mettere tutto insieme, il vero e il falso, il pubblico e il privato, gli errori e le colpe contribuisce alla crescita di quella mentalità anti-industriale, di quei pregiudizi anti-competenze che sono terreno di coltura dei fallimenti: quelli di cui parla Giannini, e quelli più generali che affliggono questo Paese.
La replica di Giannini
Capisco lo spirito “liberal” di Franco Debenedetti, ma respingo i suoi rilievi per due ragioni. 1) Gestione dei Riva: nei loro ultimi tre anni l’Ilva ha chiuso i bilanci in rosso con debiti per 3 miliardi. Misurare il successo imprenditoriale in base alle tonnellate di acciaio prodotte è fuorviante: la congiuntura di oggi è troppo diversa da quella di 10 anni fa. 2) Situazione giudiziaria dei Riva: se si è parzialmente sbloccata, questo deriva proprio dal fatto che la famiglia, nel dicembre 2016, ha messo a disposizione di procure e commissari 1,3 miliardi fatti rientrare dalla Svizzera. E se alcune pendenze sono state risolte, questo deriva dal fatto che i membri della famiglia (alcuni dei quali purtroppo scomparsi) hanno patteggiato le pene. Prima Adriano (2 anni e mezzo, maggio 2017). Poi Nicola (3 anni, febbraio 2018). Quanto a Fabio, effettivamente assolto il 6 luglio, l’accusa ha già impugnato la sentenza in appello. Per tutti restano in piedi in Corte d’assise a Taranto i processi per “associazione a delinquere per disastro ambientale”, “omissione dolosa per la sicurezza del lavoro” e “avvelenamento”. Tralascio ogni polemica sulla presunta “mentalità anti-industriale” e su non meglio precisati “pregiudizi anti-competenza” (mi sono totalmente alieni sia l’una che gli altri). Ce n’è abbastanza per dire che il nostro capitalismo familiare non ha brillato.
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