Il procedere riluttante, la politica del ‘sì, ma…’ , costa al paese. Gli esempi dei costi inutili (per dirla chiaramente, degli sprechi) continuano ad arricchirsi. In Spagna è stata approvata la legge che liberalizza il settore delle telecomunicazioni via cavo, e sarà in vigore tra un paio di settimane: operatori privati, diversi dalla Telefónica de Españia, corrispondente alla nostra Telecom, potranno fornire servizi multimediali, trasmissione dati, telefonia vocale dal 1998. La legge spagnola andrebbe integrata con disposizioni che consentano di eliminare davvero gli squilibri dovuti alla presenza del monopolio. Ciò che conta è che gli spagnoli sono arrivati prima di noi a lanciare un segnale ai mercati, e agli investitori.
I paesi sono in competizione tra loro per attirare i capitali finanziari: chi per primo sa aprire i propri mercati e creare condizioni allettanti per l’investimento ha la possibilità di farsi finanziare lo sviluppo di alcune infrastrutture senza dover gravare sul bilancio dello Stato o sulla bolletta telefonica. Come è noto, nel nostro parlamento giace da un anno una proposta di legge da me predisposta per liberalizzare il settore delle telecomunicazioni via cavo, e un disegno di legge di ispirazione governativa inizia il suo percorso parlamentare alla Camera. È evidente che, se si vogliono attirare capitali, è necessario non arrivare ultimi, e offrire condizioni favorevoli alla concorrenza su basi eque.
Una di queste riguarda la cosiddetta ‘portabilità del numero’: ciò significa che, quando il settore della telefonia vocale sarà liberalizzato e l’utente potrà scegliere tra più società telefoniche, lo possa fare senza dover subire l’inconveniente di cambiare numero telefonico, che rimane esclusivamente suo. In Inghilterra, dopo una lunga battaglia, l’Autorità di regolazione è riuscita a imporre questa condizione alla British Telecom, non solo ma facendone sopportare la maggior parte del relativo costo alla stessa società, che gode ancora di una posizione dominante. Si è così stabilito un principio che, sotto la spinta degli utenti, si diffonderà: perché allora non anticipare, invece di essere dei renitenti rimorchiati?
Ancora: alla fine del 1997 Bruxelles impone a tutti i paesi dell’Unione di liberalizzare il servizio telefonico voce: perché non anticipare di un anno? Non ci sono ragioni tecniche, e, se ci sono, si supereranno molto prima sotto la spinta delle forze del mercato, dei concorrenti desiderosi di arrivare prima. Si dice: se lo facciamo in anticipo, lo faremo in condizioni di non reciprocità. E allora? Anzi, Telecom stessa avrebbe un anno di più a disposizione per attrezzarsi a operare in un mercato competitivo, e si troverebbe dunque avvantaggiata e non svantaggiata quando vorrà espandersi in altri mercati, nel momento in cui questi saranno stati aperti. Se la concorrenza porta vantaggi, si ripete, perché non anticipare quanto più è possibile?
Anticipando, si anticipano i vantaggi per gli utenti; si riducono i costi, dunque si frena l’inflazione; si approfitta per primi, dunque a condizioni più vantaggiose, dell’offerta di capitali sui mercati finanziari. Se ne avvantaggia l’immagine del paese: tra le nazioni dell’unione europee siamo già anomali per le condizioni della nostra finanza pubblica, siamo guardati con sospetto per i ritardi con cui applichiamo le direttive comunitarie, destiamo sorpresa per l’incapacità di utilizzarne i fondi, offriamo lo spettacolo di una politica che, per il suo bizantinismo, appare un rebus incomprensibile: dimostrare che nel liberalizzare i mercati siamo capaci di anticipare le date obbligatorie, che sappiamo darci regolamentazioni innovative, migliorerebbe almeno da questo lato la nostra immagine. Quanto ci guadagneremmo? Poco o tanto, quello che è sicuro è che il costo sarebbe zero.
dicembre 24, 1995