di Sandro Brusco
Per la ormai sempre più lunga serie ”il ritorno della sinistra demente” siamo oggi costretti a occuparci delle scempiaggini scritte da Stefano Rodotà su Repubblica. L’articolo si caratterizza per tre cose. Primo, l’ignoranza pressoché assoluta dei più elementari concetti di economia e finanza. Secondo, un moralismo paternalista dozzinale e completamente fuori luogo. Terzo, il gratuito attacco xenofobo alla Germania. Un altro cattivo maestro da mandare in soffitta.
La ”notizia” che vorrebbe commentare Rodotà è che ”la riverita Deutsche Bank”, come lui la chiama, è entrata nel mercato dei cosidetti ”death bonds” o ”bond della morte”. In realtà la faccenda è un po’ più complicata e merita qualche parola di spiegazione. Scusate quindi questa prima parte didattica introduttiva, ma è importante capire ciò di cui si parla per evitare fregnacce alla Rodotà.
Introduzione.
Nei termini più semplici possibili la questione si può porre come segue. Tutti noi siamo preoccupati di avere un reddito sufficiente quando saremo vecchi e smetteremo di lavorare. Il problema si pone meno nei paesi in cui i sistemi pensionistici pubblici sono generosi, come l’Italia, ma qui la notizia riguarda gli USA dove la previdenza privata è un affare serio. Un sistema semplice per cercare di avere un reddito dignitoso da vecchi è quello di risparmiare e accumulare capitale. Quando si smette di lavorare si consuma il reddito da investimento e, se necessario, si decumula lentamente il capitale. Ma questa soluzione non è soddisfacente a causa di due rischi a cui tutti i risparmiatori vanno incontro. Primo, si rischia (e spera) di vivere tropo a lungo, finendo per esaurire il capitale accumulato e quindi passare in miseria gli ultimi anni della vita. Secondo, si rischia (e stavolta non si spera) di morire troppo giovane, lasciando quindi la famiglia senza i mezzi per mantenere un buon tenore di vita.
Da tempo immemore i mercati assicurativi hanno tentato di fornire risposte a questi problemi. Ci sono molti prodotti in cui investire, con vari livelli di complicazione e sofisticazione, ma per farla molto breve possiamo ripartirli in due grosse categorie: rendite vitalizie (annuities, o pensioni private) e assicurazioni sulla vita. Con le rendite vitalizie un individuo paga dei premi fino al raggiungimento di una certa età, e poi riceve una rendita finché campa. Con una assicurazione sulla vita un individuo paga dei premi e la sua famiglia riceve dei soldi in caso di morte. Il primo prodotto ripara dal rischio di vivere troppo a lungo, il secondo dal rischio di vivere troppo poco. Nel primo caso l’assicuratore ha interesse che l’assicurato muoia il prima possibile, in modo da risparmiare il pagamento del vitalizio. Nel secondo caso ha interesse a che l’assicurato muoia il più tardi possibile, in modo da evitare di pagare. Cosa ha fatto esattamente Deutsche Bank lo vedremo dopo, ma per il momento osservo che questa cosa che Rodotà trova così orribile, il fatto che a un certo punto una parte trae profitto dalla morte di un’altra, è banalissima ripartizione del rischio. Una transazione volontaria in cui l’assicurato decide di pagare un prezzo per ottenere una rendita certa per tutta la vita ed eliminare l’incertezza, mentre un’altra parte accetta di assumersi l’incertezza sperando di trarne un profitto. E giusto per essere ancora più chiari, questo vale tale e quale nei sistemi pensionistici pubblici. Se domani una improvvisa epidemia uccidesse tutti gli ultrasessantenni italiani i giovani guadagnerebbero molto da tale evento, dato che improvisamente si ridurrebbe la spesa per pensioni. Magari si potrebbero ridurre le tasse, o magari si protrebbero migliorare le condizioni pensionistiche dei giovani. E se invece i nostri vecchietti, come tutti speriamo, campano più del previsto chi lavora dovrà pagare di più per mantenerli.
In generale i premi da pagare e il livello delle rendite vitalizie, così come le condizioni delle assicurazioni sulla vita, si determinano guardando alle tavole di mortalità della popolazione. Secondo Rodotà questo significa che ”[l]a vita entra senza riserve a far parte del mercato, è puro oggetto di calcolo probabilistico, è consegnata a uno dei tanti algoritmi che ormai regolano la nostra esistenza”. Deliri da guru di periferia. Apparentemente, il fatto che livello dei premi e delle rendite sia calcolato usando l’informazione disponibile sulle aspettative di vita a lui pare inaccettabile. Visto che, immagino, Rodotà non si oppone all’esistenza di pensioni pubbliche mi chiedo, secondo lui, con quali criteri andrebbero calcolate. Ma, aspetta, lo so già. Vanno calcolate ignorando l’equilibrio finanziario (la nostra vita non deve mica essere schiava degli algoritmi e del calcolo probabilistico!) e in base a quello che decidono dei politici in cerca di voti. Finché dura, ovviamente, perché a un certo punto il giocattolo si rompe e si presenta il conto alle generazioni future, in forma di alto debito pubblico da pagare e condizioni pensionistiche assai peggiori, come è avvenuto in Italia a partire dagli anni Novanta.
Nel mercato delle assicurazioni, come in tanti altri, ci possono essere (ci sono) problemi di eccessivo potere di mercato dei venditori, per cui le assicurazioni finiscono per fare troppi profitti, ma da questo punto di vista il mercato assicurativo non è diverso da qualunque altro mercato. Il potere monopolistico si contrasta con maggiore concorrenza e/o con l’azione dell’antitrust. Non sono queste banalità ciò che interessa a Rodotà. I prezzi troppo alti son cose che preoccupano l’avida plebaglia e i maledetti capitalisti profittatori, non i raffinati intellettuali No, lui, come i Blues Brothers, è in ”a mission from God” e ci deve spiegare cosa è morale e cosa non è morale che la gente scambi.
La notizia
I ”mortality bonds”, o in modo più colorito ”death bonds”, sono stati creati parecchio tempo fa. Sostanzialmente, mirano a coprire il rischio di chi ha venduto un mucchio di polizze vita e teme di dover pagare un sacco di soldi nel caso ci sia un picco inaspettato nella mortalità. Per cercare di bilanciare questo rischio, cerchi di assumerne uno di segno opposto. Una assicurazione può ottenere tale risultato emettendo titoli i cui pagamenti dipendono dalla mortalità della popolazione. Per esempio, nel 2009 Swiss Re emise obbligazioni di questo tipo (death bonds) per 75 milioni di dollari. Come spiega il pezzo linkato, Swiss Re temeva che la mortalità salisse a causa dell’epidemia di influenza suina o per attacchi terroristici. Le obbligazioni pagavano una tasso del 6,17% ma una condizione delle obbligazioni stabiliva che i pagamenti sarebbero calati qualora la mortalità nel Regno Unito o negli Stati Uniti fosse aumentata oltre un certo livello. Sostanzialmente, chi compra i titoli scommette sul fatto che le popolazioni di USA e Regno Unito non subiscano epidemie o attacchi terroristici fino al 2014 (anno di scadenza dei titoli) mentre Swiss Re scommette che tali eventi accadano. Ora, una persona completamente ignorante delle più elementari nozioni di economia e matematica finanziaria immagino possa reagire a tutto questo dicendo che Swiss Re cerca di far profitti sulla morte delle persone. Solitamente questi ignoranti si incontrano al bar e sui mezzi pubblici, luoghi in cui è purtroppo difficile mettersi al riparo dai loro rantoli. Alcuni, a quanto pare, riescono ad arrivare in prima pagina a Repubblica. Ma ignoranti che parlano a vanvera continuano a essere.
Il vero problema di questi titoli è che il mercato non è ben sviluppato e che coprirsi dal rischio di mortalità rischia di essere caro, come spiega questo pezzo di Felix Salmon. Come spesso accade nei mercati assicurativi esiste un problema di selezione avversa. Spieghiamo. Una forma comune in cui si è sviluppato il mercato è stato tramite l’acquisto di polizze di assicurazione da individui e la loro rivendita, tipicamente in un pool con altre polizze in modo da diversificare il rischio. Il rischio di selezione avversa deriva dal fatto che chi vende il bond (o simile prodotto finanziario) può avere migliore informazione di chi compra, e può quindi provare a tirare una sola alla controparte. Per capire ciò di cui parliamo, segnalo questo pezzo del Wall Street Journal in cui si narra la storia di Life Partners e della loro costante sottostima delle aspettative di vita su cui i loro prodotti erano basati (più dell’80% degli assicurati di cui Life Partners rivendeva le polizze hanno vissuto o continuano a vivere oltre l’età attesa). Deutsche Bank, che non è entrata in questo mercato ora ma qualche tempo fa, ha avuto simili problemi. Questo articolo di Der Spiegel (edizione inglese) racconta la storia dei fondi db Kompass Life 1 e db Kompass Life 2. I fondi funzionano così: gli invesitori danno i loro soldi, che vengono usati per acquistare polizze assicurative dal pubblico americano. Il rendimento arriva se i signori da cui si son comprate le polizze muoiono, per cui l’assicurazione sulla loro vita viene pagata. Risulta invece che sono morti ben pochi, per cui l’investimento ha fruttato pochissimo. Gli investitori si sono arrabbiati e hanno accusato Deutsche Bank di averli volutamente male informati sull’aspettativa di vita degli assicurati. Deutsche Bank replica che hanno fatto i conti bene con i dati che avevano e che non è colpa loro se gli americani si son messi a vivere più a lungo. Val la pena notare che qua sono quelli che hanno investito nei fondi che scommettono sulla morte degli assicurati, non Deutsche Bank.
Ma se i death bond ci sono da un bel po’, con tanto di Deutsche Bank immischiata, perchè è scoppiato ora il casino? Da quel che ho capito la notizia è che Deutsche Bank ha ora creato un terzo fondo, che con fantasia teutonica ha battezzato Kompass Life 3. Sempre da quel che mi è dato capire, due sono le novità rispetto ai primi due fondi. Primo, le persone su cui si scommette sono ben identificate e la loro storia sanitaria è disponibile (non ho capito esattamente in che forme, ma immagino solo per chi investe). Secondo, non si acquistano polizze assicurative da queste persone ma si scommette direttamente sulla loro permanenza in vita. Dal punto di vista economico il punto più interessante è il primo: Deutsche Bank sta cercando di superare il problema di selezione avversa fornendo più informazione. Ma tutti si sono concentrati invece sul secondo aspetto.
Dal punto di vista economico il secondo aspetto è totalmente irrilevante. Immaginiamo due scenari. Nel primo io ho una polizza vita e un signore si avvicina e mi dice: ”vendimi la tua polizza, io continuerò a pagare i premio e incasserò quando morirai”. Nel secondo io non ho una polizza vita e un signore si avvicina e mi dice: ”ti do dei soldi se mi dai accesso ai tuoi dati medici, userò tali dati per scommettere sulla data della tua morte”. In entrambi i casi si sta scommettendo sulla mia morte, con il mio consenso. La differenza è che la prima transazione è possibile solo se ho già una polizza mentre la seconda fornisce maggiori informazioni sulle probabilità di morte (l’orrendo calcolo probabilstico che tanto turba i sonni di Rodotà). Ma i giuristi, in tutte le parti del mondo, hanno spesso avuto problemi a capire che assicurazioni (buone!) e scommesse (cattive!) sono in realtà dal punto di vista economico la stessa cosa. E quindi il fatto che in Kompass Life 3 non fosse presente l’acquisto delle polizze vita ha destato le ire di qualche burocrate dell’associazione bancaria tedesca (questo almeno è quello che capisco da questo articolo del Franfurter Allgemeine Zeitung: non so il tedesco e ho usato Google translate, ma un fido collaboratore di nfa mi ha assicurato che la traduzione è corretta; ne rivelerò il nome se risulterà che mi ha crudelmente preso in giro), che ha obiettato che non si può scommettere sulla vita umana, no, no, no, ne va della dignita della persona. Christian Seidl, presidente dell’associazione dei riassicuratori, ha giustissimamente fatto notare che in tal caso bisognerebbe abolire le rendite vitalize che, come spiegato sopra, sono esattamente una scommessa in cui l’assicurazione vince se l’assicurato muore presto. La faccenda finirà davanti ai giudici, e possiamo solo sperare che la loro cultura economica sia superiore a quella di Rodotà e del tizio dell’associoziane bancaria tedesca.
L’ignoranza, il paternalismo dozzinale, la xenofobia
Tiriamo le somme. L’artcolo di Rodotà è veramente sbalorditivo per l’ignoranza e l’arretratezza culturale che mostra, oltre che per l’arroganza esibita nel parlare in modo sprezzante di cose che palesemente non si capiscono. Paolo Manasse ha già parlato del tema, rendendo chiaro che ci sono molti casi, considerati del tutto normali, in cui si scommette sulla vita delle persone. Aggiungo che scommettiamo continuamente, oltre che sulla morte, sugli atti e sulla performance di altri esseri umani. Lo facciamo, per esempio, ogni volta che giochiamo la schedina. Il grande giurista de noantri afferma pomposo:
Non più produttiva, la vita degli anziani diventa “vita di scarto”, la loro dotazione di diritti si impoverisce, appare incompatibile con la logica dell´economia. Si scivola verso un “grado zero” dell´esistenza, con il trascorrere degli anni si entra in un´area nella quale si è sempre meno “persone”, disponibili come di uno dei tanti oggetti con i quali si costruiscono i prodotti finanziari. Tra il mondo delle persone e quello delle cose non vi sono più confini, si stabilisce un perverso continuum.
Vita di scarto eh? Chissà perché mai. E direbbe veramente Rodotà che se scommettiamo sui risultati che i nostri amati calciatori saranno in grado di produrre al prossimo turno di campionato allora li stiamo disumanizzando, riducendo a cosa e non so quale altra nefandezza? Ma via. Una ignoranza veramente crassa e avvilente.
Ma il nostro non si ferma qui. Se dicesse semplicemente che lui i death bond li trova di cattivo gusto si potrebbe rispondere con un ”buon per te”. Ma no. Il Rodotà pensa che i suoi gusti siano quelli giusti e vadano quindi imposti agli altri. Perché, vedete, tutte queste transazioni in cui la gente compra, vende e rivende polizze assicurative sono tutte volontarie. Ebbene sì signori, nessuno di quei vecchietti è stato costretto con le armi da Deutsche Bank a rivelare le sue informazioni mediche e a permettere scommesse sulla loro testa. Lo hanno fatto volontariamente, suppongo in cambio di un compenso. Non sia mai che questa e altre nefandezza possano prendere piede qui da noi. E scatta il paternalismo dozzinale. C’è lui, Stefanone nostro, a difendere la dignità umana e a dirci quali transazioni possiamo effettuare e quali no. E certo non si parla solo dei death bond, come spiega in chiusura dell’articolo:
La dignità umana non è violata solo in casi limite come quello dei “bond morte”. È violata quando si capovolge il rapporto tra principio di dignità e iniziativa economica, attribuendo a quest´ultima un valore prevalente, come si cerca di fare oggi in Italia. L´esistenza “libera e dignitosa”, di cui parla l´articolo 36 della Costituzione, viene negata quando una considerazione tutta efficientistica del lavoro affida la vita delle persone al potere dell´economia, consegnandola alla logica della merce. Indigniamoci per le cose tedesche, ma diamo uno sguardo anche in casa nostra.
I villici ringraziano, attendendo che l’augusto intellettuale spieghi cosa possono fare e cosa no. Di passaggio noto che Rodotà ha lamentato che ”la loro dotazione di diritti si impoverisce”. Domanda all’insigne giurista: la mia dotazione di diritti aumenta o diminuisce se mi viene proibito di rivendere la mia polizza vita?
Ultimo punto, la xenofobia (antitedesca, in questo caso). Preferirei non parlarne, se non per osservare che alla frase ”[n]on voglio evocare con colpevole superficialità tragedie del passato” segue, in modo completamente arbitrario, nella riga dopo, una predica sulla disumanizzazione del nazismo. Una tecnica argomentativa di una ipocrisia che lascia senza fiato.
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febbraio 10, 2012