Cari amici,
Primarie a ottobre; assemblea programmatica a dicembre; blindatura del candidato prima e del premier poi; schema “1+9″ cioè Prodi più i nove segretari dei partiti, ciascuno col suo diritto di veto: quanto hanno concordato i leader dell’Unione solo apparentemente definisce le regole di governance della coalizione; in effetti ne determina in modo preciso l’identità politica.
E’ un cambiamento radicale. Prima, a definirla era la Federazione dei quattro partiti riformisti, che ne avrebbe affidato l’esecuzione al suo presidente, il quale l’avrebbe fatta accettare agli altri membri dell’Unione, con mediazioni che non ne mutassero la cifra complessiva. Adesso, al posto del luogo di formazione di una linea politica, c’è un tavolo a cui votare le proposte dei 9. Allora si trattava di dare alla coalizione un “forte timone riformista”. Adesso si tratta di assicurare al candidato stabilità. Per questo risultato si paga un prezzo rilevante: l’accettazione aprioristica della sua cifra politica del candidato stesso. Tant’è che le primarie si terranno ad ottobre e la conferenza programmatica a dicembre.
La personalizzazione della politica é implicita anche nelle primarie vere. Queste primarie serviranno a dimostrare una cosa che già si sa, – vale a dire che è Prodi il candidato del centrosinistra -; e a misurare una cosa che è inutile sapere, vale a dire il consenso personale di cui gode. Inutile, perché già si sa che non è sufficiente a dare a Prodi garanzia contro i “tradimenti”, tant’è vero che si deve aggiungere il patto “paracostituzionale” tra i partiti che lo sostengono.
Se gli avversari di Prodi saranno Pecoraro Scanio, Di Pietro, Bertinotti, il solo risultato delle primarie sarà di consentire loro di misurare la propria forza. Il profilo politico dell’Unione risulterà dal condizionamento da parte di forze antagoniste, e non dalla dialettica tra programmi riformisti. Sarà frutto di una contrapposizione, per così dire, dall’esterno, non da un confronto dall’interno. E chi volesse replicare che l’identità dovrà uscire dalla conferenza programmatica, dovrebbe spiegare lui che cosa vanno a fare quelli a cui chiediamo di votare alle primarie.
L’Italia ha bisogno di voltare pagina, non solo rispetto al berlusconismo, Perché un conto è voltare pagina rispetto al pressappochismo costituzionale, all’incapacità di controllare la spesa pubblica, alle velleità decisioniste, giù giù fino al conflitto di interessi e all’attrazione fatale per le gaffe: tutt’altra cosa è dare una nuova rotta a un paese in crisi economica e identitaria.
Questo Paese ha bisogno di un altro modello di politica europea. Dobbiamo smetterla di pensare la Commissione come governo dell’Europa, smetterla di inseguire un’Europa che non c’è e non portare a termine la realizzazione dell’Europa che c’è, smetterla di accodarci a chi difende i propri privilegi. Questo Paese ha bisogno di un altro modello produttivo, ispirato alla visione di quello che può nascere più che preoccupato di quello che al massimo riuscirà a sopravvivere, un modello che presuppone di abbandonare senza remore e senza rimpianti gli ossimori – ricordiamo la “economia sociale di mercato fortemente competitiva”? – con cui abiamo creduto di poter evitare di scegliere.
Questo Paese ha soprattutto bisogno di un altro modello sociale. Il tessuto del Paese appare segmentato, parcellizzato, da interessi corporativi, rendite, privilegi: piccolo e frandi. La concertazione che ci ha fatti uscire dalla crisi finanziaria degli anni 90, non serve più quando il problema è essere forti nello smontare le rendite particolari e credibili nell’indicare i vantaggi generali. Sostegno all’azione del governo deve essere la richiesta di riforme, la coscienza del diritto alle riforme. Sostegno al capo del governo deve essere un “populismo riformista”, non il patto di sindacato tra “azionisti di riferimento”.
Romano Prodi è portatore di idee politiche che ci hanno dato l’euro, l’avvio delle privatizzazioni e le riforme del suo breve ma intenso governo. Ma perché il Paese non continui a scivolare indietro, sarà necessario un cambiamento netto, anche rispetto la passato migliore. Non possiamo permetterci che idee nuove non vengano neppure rappresentate al Paese, che di esse non si discuta, in modo che diventino il cuore e l’anima della proposta di Governo.
Con il sistema che è stato messo insieme dopo la fine della Federazione, c’è un solo modo per farlo: presentare un candidato alle primarie che si identifichi in queste idee, che ne sia portatore personalmente, come si addice alle primarie. Solo così si riuscirà ad arricchire dall’interno , nel senso che dicevo poc’anzi, quella che altrimenti sarà un’identità politica già definita a priori, suscettibile solo di essere condizionata dall’esterno.
Le primarie, si dice, saranno anche una grande occasione di mobilitazione e di discussione politica. Ma che discussione sarà, se, nella personalizzazione delle alternative politiche, non ci sarà nessun candidato a impersonarle, se la sola alternativa sarà tra un candidato già scelto e un manipolo di oppositori interessati solo a certificare il proprio potere di opposizione? Esistono, ne sono certo,candidati capaci di raccogliere e mobilitare le energie e le volontà di chi è disposto a scommettere su un’Italia attiva e vibrante, come lo è stata in altri periodi della sua storia, candidati capaci di innescare il “populismo riformista”. Scegliamone uno e candidiamolo alle primarie.
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