- Al Direttore –
Sono i riformisti nella sinistra a essere i più danneggiati dallo smottamento dell’orografia politica innescato dalle reazioni di Silvio Berlusconi alla condanna in primo grado di Cesare Previti, poi amplificato dalla dichiarazione spontanea resa al processo in cui egli stesso è imputato, e che ora dilaga.
Sono sopraffatte e irrise le voci di chi chiede alla sinistra di governo di assumere le posizioni che avrebbe se fosse al governo; e ciò sia quanto a sostanza dei provvedimenti – che si tratti di lavoro o di guerra, di separazione delle carriere dei magistrati o di assetto del sistema televisivo – , sia quanto a strumenti con cui condurre la battaglia politica. Per alcuni di coloro che condividono tale posizione, a queste, che sono le difficoltà della politica, e a cui chi ha scelto questo mestiere deve quindi saper far fronte, si aggiunge un’ulteriore difficoltà, un “di più”: la posizione che ha assunto il Foglio.
Non penso tanto all’amplificazione (come vede, non perdo l’abitudine all’understatement) che il Foglio ha fatto delle posizioni che il presidente del Consiglio ha assunto: è sempre stato chiaro che stiamo in campi politici contrapposti, anzi solo questa avvertita coscienza ha consentito le tante coincidenze, che erano invece motivo di scandalo per ingenui o maligni. No, penso a un “di più’ che colpisce coloro, me tra questi, per cui la lettura del Foglio è stata così sovente una rinfrescante folata d’aria, e la sua frequentazione una lezione di metodo: l’acido del dubbio sulle certezze, l’insofferenza per le giaculatorie, il grano di verità celata nel paradosso, il pensiero laterale sistematicamente applicato alla politica.
Diversa, e soffocante, sembra ora l’aria, e tradita la lezione, quando lo spirito critico che riluceva nel distinguere, si appanna nei polveroni; l’insofferenza per il politically correct si compiace in un universale politically incorrect; l’iperrealismo si disvela come manierismo. Mi sono chiesto, con lo scrupolo diventato di rigore da quando il conflitto di interessi è al vertice della politica, se in questo giudizio non giocasse un ruolo la vivida memoria che serbo di alcuni episodi della vicenda Sme, e che contraddicono le tesi che il Foglio sta sostenendo. No, il “di più” che risento, riguarda il metodo, non i fatti.
Chi ha combattuto i girotondi di casa propria, non soffre di meno ad avvertirli in casa d’altri; chi ha sostenuto contro i propri compagni che questo non è un regime, ha un soprassalto quando sente un’analoga denuncia in bocca all’avversario; chi considera monetine e tricoteuses brutti episodi di una stagione passata, ha una particolare sensibilità ai sintomi di un loro possibile ripetersi.
Chi è stato iniziato alla versione di Barney, ritiene di doverglielo manifestare: con cordialità.
La risposta del Direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara:
“Gentile senatore, della lezione di Barney fa parte anche qualche vaffanculo. Battendoci per una terza Repubblica libera dal giogo giustizialista (e da altri gioghi) non tradiamo bensì inveriamo la nostra identità. Lei espone le sue ragioni con affetto e intelligenza, e la ringrazio (ma in un paese crudo, in cui Repubblica censura l’autobiografia di Carlo De Benedetti e il Wall Street Journal, non si può essere signori).”
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maggio 10, 2003