Quelli che ancora oggi lamentano che, quando si è privatizzata Telecom, non lo si sia fatto mantenendo la rete di proprietà pubblica, si sono mai figurati come si sarebbe dovuto fare? Stet avrebbe dovuto preparare societariamente gestione tecnica e gestione commerciale. Stet.Tecnica avrebbe gestito tutto quello che attiene la connessione degli utenti, Stet-Commerciale si sarebbe occupata di pubblicità, contratti, fatturazione, incasso, e un contratto avrebbe stabilito quanto le sarebbe stato riconosciuto per questi servizi, come percentuale del ricavo da clienti.
Naturalmente per i sostenitori della rete pubblica è solo Stet-Commerciale che si sarebbe dovuto vendere. Gli asset di questa società sarebbero stati solo i negozi di proprietà, e immobili, macchine, uffici per svolgere le sue attività; i ricavi sarebbero dipesi da quanta parte del ricavo totale dal mercato le sarebbe stato riconosciuto. Chi avesse comperato Stet-Commerciale, oltre al normale rischio di impresa, sarebbe stato esposto anche al rischio di una negoziazione con Stet Rete, cioè con lo stato: quindi l’incasso dalla privatizzazione non sarebbe stato neppure paragonabile a quanto lo stato ricavò dalla vendita della Stet tutta intera.
Ma quel che è peggio è che l’interfaccia così creata tra le due aziende, la si sarebbe ritrovata anche nel processo decisionale sugli investimenti. Infatti Stet-Commerciale deciderebbe di investire per estendere il mercato solo se fosse sicura che anche Stet-Rete investe per potenziare i propri impianti, e viceversa. La duplicazione dei momenti decisionali (e il rimpallo sull’entità degli investimenti) si tradurrebbe sicuramente in un ritardo, e con ogni probabilità in una riduzione degli investimenti. Se in nessun parse d’Europa la vendita del monopolista telefonico statale è stata fatta mantenendo la proprietà della rete in capo allo stato, qualche ragione c’è.
luglio 28, 2017