di Gianfranco Fabi
Il complesso di superiorità della sinistra
Un partito “liquido”, come dicono «quelli che hanno letto i titoli di copertina dei libri di Zygmunt Baumann». Una realtà politica alla perenne ricerca di un’identità ormai perduta. Un movimento con un glorioso passato e un incerto presente. Il viaggio nella sinistra di Edmondo Berselli ha insieme i caratteri del romanzo epico e della sferzante analisi politica insieme al grande pregio dell’avvincente ironia.
Ma Berselli, editorialista di Repubblica e dell’Espresso, nel suo ultimo libro Sinistrati, percorre da uomo di sinistra la storia dell’Italia degli ultimi anni per rispondere alla domanda: perché una realtà così moderna, aperta, costruttiva, ricca di valori e di grandi uomini non solo viene (quasi) regolarmente sconfitta, ma il più delle volte non riesce a vincere la tentazione di farsi del male da sola?
È proprio seguendo il filo conduttore della storia delle idee, la spina dorsale attorno a cui ruotano i mille aneddoti del racconto, si può arrivare alla disarmante conclusione che la sinistra sa essere costantemente antipatica perché non sa liberarsi dal proprio esuberante complesso di superiorità. Fino al punto di non sapere approfittare delle debolezze degli avversari, degli squilibri del sistema di mercato, dei disagi sociali e delle crisi finanziarie. Ma abbandonate come scorie velenose le sirene del collettivismo, rinnegate le radici storiche del comunismo, superati i miti dell’intervento pubblico nell’economia, quale progetto economico resta? «Alla fine – dice Berselli – dovremmo dire qualcosa sui programmi, sul futuro, sulle soluzioni». Magari superando quel minestrone dialettico che ha fatto annegare le ideologie: sostituendole con un pizzico di solidarismo, una spruzzata di ambientalismo, una punta di welfarismo, con qualche dotta citazione («da figli del Bignami») di Baumann o di Habermans, di Nozick o di Rawls, tanto per apparire intellettuali. Alla perenne ricerca della modernità si può scoprire così che il partito democratico «non è neppure un partito: è una tonalità intellettuale, una sfumatura emotiva, un intero spettro di nuances sentimentali». Un partito che ha scoperto con Giavazzi che il liberalismo è di sinistra e che nello stesso tempo non riesce a sciogliere il filo doppio con il vecchio modo di fare sindacato, con la politica del no, con gli schemi del proletarismo operaio. Per poi accorgersi che nelle fabbriche del Nord e nelle terre tradizionalmente “rosse”, avanza il realismo populista della Lega.
Nel 1901 Vladimir Lenin si chiedeva «Che fare?» sottolineando «il problema del carattere e dei metodi della lotta». A poco più di cent’anni di distanza la situazione sembra ancora più complicata, anche se qualche rivoluzione è passata sotto i ponti. «Che fare?» si chiede anche Berselli dopo questo viaggio amaro nel costante appassimento delle magnifiche sorti della sinistra. E risponde: «Asciughiamoci gli occhi, rimettiamo in moto il cervello e diamoci da fare». Continuando a sperare che si possa ripetere in Italia una grande vittoria sotto la bandiera “we can”: ma il nostro senatore dell’Illinois è ancora senza volto.
novembre 10, 2008