“Una gara a chi inventa quella più esotica”: così Emma Marcegaglia commentando la “patrimoniale sull’evasione”, l’ultima variante dovuta alla fantasia –fertile o ironica? – del Ministro Calderoli. C’era stata la “patrimoniale catastale” di Pellegrino Capaldo, sull’incremento di valore degli immobili, con modalità da lasciare alla politica “intesa nel senso nobile della parola”; quella “30-30-30” di Amato, 30 mila euro per ogni italiano facente parte del 30 per cento più abbiente, per abbattere di 30 punti il rapporto debito/PIL; quella “perforante” di Bersani, volta a colpire i patrimoni nascosti sotto lo scudo tremontiano; quella ”corretta” di Luca Cordero di Montezemolo, una botta una tantum nell’intervista al Corriere per conquistarsi il podio, diventata imposta annuale con aliquota minima nell’esegesi della sua fondazione.
Anche Walter Veltroni ha avanzato una sua proposta: inserita nella lettera a Repubblica dal titolo “Il riformismo può salvare l’Italia”, potrà dirsi a buon diritto “patrimoniale riformista”. I contributi di solidarietà sono una classe a sé, sia per il numero di varianti quanto a aliquote, soglia di accesso, scaglioni, sia perché tecnicamente sarebbero un’addizionale IRPEF, ma richiederebbero di attingere al patrimonio per pagarla. Ma un articolo di giornale ha dimensioni inadeguate per una tassonomia di tutte le varianti proposte: ci si limiterà quindi a una classificazione in base agli scopi che ci si propone di raggiungere.
1. Per ridurre altre imposte, in costanza di gettito. E’ una tesi popperianamente non falsificabile, essendo sempre possibile migliorare la composizione del prelievo. Equivale a un’imposta di scopo, annuale, con aliquota bassa: ma stranamente si parla dello scopo, mentre è della sua copertura che occorrerebbe discutere.
2. Per stanare l’evasione: una dichiarazione obbligatoria del proprio patrimonio servirebbe all’agenzia delle entrate per scoprire evasioni pregresse. Ma tassarlo con un’aliquota bassa sarebbe irrilevante come gettito, e non aumenterebbe la probabilità né di avere dichiarazioni veritiere né di scoprire passate evasioni.
3. Per recuperare passate evasioni. A differenza delle precedenti, un’imposta eccezionale “pesante”. Si presume che solo con l’evasione si possa formare un grosso patrimonio, si presume che la patrimoniale non colpisca due volte lo stesso reddito, il contribuente è presunto colpevole. In questa sagra dello stato di diritto io contribuente é, nella variante “perforante”, reo confesso: di essersi fidato dello stato.
4. Per correggere l’iniquità, per cui il 10% della popolazione detiene il 48% della ricchezza nazionale. Ci sono molte ragioni per ritenere che una distribuzione meno squilibrata sarebbe favorevole alla crescita; ma è quasi certo che non lo sarebbe una redistribuzione forzosa. Ciò che giova al Paese, e ciò che è compito dello stato, è di far sì che molti abbiano possibilità e occasioni di diventare più ricchi, non che alcuni lo siano di meno. Nessun che abbia il coraggio di dire che i ricchi servono?
5. Per ridurre gli interessi da pagare. Un sacrificio collettivo per uscire dalla trappola di Rogoff, secondo cui quando il debito supera il 90% del Pil, il carico degli interessi blocca la crescita. Dice Veltroni: raggiunto il pareggio di bilancio grazie a un benchmarking della spesa della PA, snellita la macchina politico amministrativa, venduto tutto quello che si deve vendere del patrimonio pubblico, si può chiedere a quel 10% più ricco un contributo straordinario per liberare risorse per la crescita. Quel contributo è attualmente investito, in immobili, in titoli di debito pubblico, direttamente o indirettamente in attività produttive. Quelli a cui fino a ieri si è chiesto di investire, dovranno disinvestire, perché lo stato possa ammortare debito pubblico per 300 mld e risparmiare i corrispondenti interessi. Quell’importo i privati l’avrebbero investito secondo criteri di mercato, lo stato lo investirà secondo criteri politici: e se sarà per aiutare imprese o costruire opere che le banche non trovano conveniente finanziare, già andrà bene: perché credo che nessuno sia disposto a scommettere che non venga ben presto usato per pagare un nuovo aumento della spesa pubblica. E poi, rifacciamo il giochetto?
Il dibattito sugli eurobond, hanno scritto Alberto Alesina e Francesco Gavazzi, si riduce alla richiesta che la Germania si faccia carico di garantire il debito pubblico della periferia dell’euro. Analogamente il dibattito sulla patrimoniale si riduce alla richiesta che i patrimoni privati vengano in soccorso del decisore pubblico per evitargli di abbattere le spese oggi, e per consentirgli di farne di nuove domani.
ARTICOLI CORRELATI
Purché non sia tutto inutile
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – Il Corriere della Sera, 19 settembre 2011
L’imbroglio della patrimoniale
Relazione di Francesco Forte – Assemblea annuale della Confedilizia, 19 settembre 2011
Forse la patrimoniale non è uno scherzo
di Giorgio Meletti – Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2011
agosto 30, 2011