Le scelte degli imprenditori e il neodirigismo strisciante

giugno 9, 2004


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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In cinque giorni, dall’Assemblea di Confindustria a quella di Bankitalia, e con la crisi al vertice Fiat, tutti i problemi del nostro capitalismo sono stati simultaneamente sotto i riflettori.

“Non esiste alcun male oscuro né alcuna maledizione che ci impedisca di crescere… Si scongiura il declino facendo dell’innovazione un’ansia continua, investendo di più”. Così Luca Cordero di Montezemolo nel suo primo discorso agli industriali. Altro che ritardo nella deindustrializzazione, come scrive il Financial Times di mercoledì scorso, non è questo il problema del paese.

Tutta la prima metà del suo discorso è volta a stimolare gli animal spirit degli imprenditori. Ma se essi non investono, è perché le banche non li finanziano o perché il conto economico non lo consente? E’ stata riabilitata la concertazione: ma si dovranno pur fare delle scelte, tra sussidi e tasse, tra Nord e Sud, tra contratti nazionali e regionali. Delle due l’una: o i comportamenti dei nostri imprenditori sono irrazionali, e allora a salvarci non saranno il neodirigismo strisciante o la nuova IMI che vorrebbe Franco Bernabè. Oppure sono razionali nel seguire le aspettative, ed è su queste che bisogna agire. Suscitarne l’orgoglio è solo un buon inizio.

Un buon inizio é anche il modo con cui è stata risolta la crisi di vertice alla FIAT. Restano certo i problemi in cui da anni si dibatte l’azienda: margini inferiori a quelli dei concorrenti, diversificazioni per suddividere il rischio, costruzioni societarie barocche per finanziarle, incertezze tra conduzione famigliare e management professionale. Ma io ritengo, contrariamente a Guido Rossi su Repubblica di giovedì scorso, che questa sia stata una prova di buon capitalismo. Una “vittoria degli Agnelli”, forse, ma riportata contro un attacco obliquo; e pagata con un vincolo, che non sarà facile disconoscere, a impegnare proprie risorse. E poi, chi ha la responsabilità di assicurare una guida all’azienda, gli azionisti di controllo o le banche – per ora – creditrici?

Delle banche, il Governatore Fazio, si è limitato a vantare la storica solidità, l’equilibrato aggregarsi, la disponibilità di credito. E’ stato Giovanni Bazoli a difenderne l’autonomia contro le tentazioni stataliste del Governo, dal potere del Parlamento di nominare le Autorità di controllo. E di chi dovrebbe essere? Delle Fondazioni? Con i metodi, quelli sì feudali, con cui sono insediati i loro consigli? Sotto la regia di Bankitalia, forte del doppio potere di vigilanza e antitrust, il nostro sistema bancario è cresciuto compatto, impermeabile, con autonomia di status e di agenda, verso fini che non si identificano né con quelli delle imprese né con quelli della politica. Questa terzietà, questa separatezza, rappresentano l’ ostacolo forse più grave per una politica delle riforme: a incominciare dall’avvento delle public company, che non saranno, come si ama pensare a sinistra, “democrazia societaria”; ma che, date certe condizioni politiche, possono essere un potente strumento di creazione e distribuzione della ricchezza.

E il Governo? Contestato su fondamentali scelte politiche dal Presidente di Confindustria, richiamato ai vincoli di finanza pubblica dal Governatore, accusato di statalismo dal Presidente di Banca Intesa, velatamente sospettato di aver provato a giocare una sua parte nella vicenda Fiat, il Governo su questi problemi sembra assente. Se lo si constata, non è certo per invocarne l’intervento diretto. Non di questo ha bisogno il paese, ma di un quadro di ragionevole prospettiva: su tasse, servizi, concorrenza; sulle protezioni da garantire e sui meriti da premiare.

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