Le nuove regole della Corporate

febbraio 6, 1998


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Modificare ” la disciplina relativa alle societa’ emittenti con particolare riferimento al collegio sindacale, ai poteri delle minoranze, ai sindacati di voto e ai rapporti di gruppo secondo criteri che rafforzino la tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza”.
Cosi’ il testo, ispirato da Renzo Costi, della delega inserita nella legge comunitaria del 96, che viene attuata dal progetto di legge di cui oggi si discute a Torino.

Il testo si pone in esplicita continuita’ con una linea di analisi economica e di politica economica largamente prevalente, da Ascarelli del Mondo a Romano Prodi del Mulino. Secondo questa analisi il nostro e’ un capitalismo dicotomico, da un lato aziende di stato e grandi famiglie industriali legate tra loro da patti di reciproco sostegno, dall’altra una quantita’ di piccole e medie aziende; il nostro e’ un mercato finanziario asfittico, il risparmio non drenato dal finanziamento del debito pubblico serve a sostenere gruppi piramidali che non mettono mai in gioco il controllo. A questa analisi corrisponde la proposta politica: interventi di legge per eliminare le strozzature del nostro capitalismo e proteggere i risparmiatori.
Non concordo con queste tesi, e credo che merito della proposta Draghi sia di avervi ragionevolmente resistito. Non concordo, perche’ diffido da chi si vuole fare, e sia pure con buone intenzioni, angelo custode. E quanto alla necessita’ di penetranti interventi normativi, “e’ questione completamente aperta se sia necessario introdurre misure specifiche per combattere i monopoli in aggiunta a un quadro giuridico generale che favorisca la concorrenza.” Qualcuno potra’ non concordare con questa affermazione di Hayek, ma e’ impossibile negare gli impressionanti mutamenti avvenuti negli ultimi anni.
Fondazioni bancarie: il S. Paolo per primo, poi Cariplo, quindi Banca di Roma hanno spontaneamente avviato processi di privatizzazione. Privatizzazioni: stanno rivoluzionando graduatorie del listino e modificando i flussi del risparmio. Grandi gruppi familiari: anche li’ quanti mutamenti in pochi anni!
Non e’ stata la legge a produrre questi cambiamenti, sono state le forze del mercato: un po’ piu’ di concorrenza sui prodotti, qualche vincolo in meno ad accedere a mercati finanziari unificati. Alla tesi di chi vorrebbe fare della corporate governance strumento di trasformazione, io oppongo la controtesi dei mercati come produttori di trasformazioni.
Accanto alla tesi che postula la necessita’ dell’angelo custode armato dalla legge, un’altra si e’ sentita affermare con forza, e proprio con riferimento alla restituzione al mercato delle grandi societa’ di servizi. La tesi secondo cui la corporate governance dovrebbe risolversi in una strumentazione per sostituire alla proprieta’ virile – secondo la nota espressione di Bruno Visentini – la figura forte del manager autonomo dalla proprieta’. Con la prima tesi l’angelo custode riceve la sua arma, con la seconda la sua identita’: entrambe le tesi impediscono che i mercati realizzino autonomamente l’efficienza allocativa.

Bisogna riconoscere che il testo prodotto dalla commissione Draghi ha evitato sia il primo che il secondo pericolo, e che i margini che esso lascia all’autonomia statutaria sono significativi. Da questo punto di vista esso va giudicato equilibrato e positivo nella sua ispirazione di fondo.
Uno dei punti critici e piu’ discussi del progetto e’ quello del bilanciamento tra stabilita’ e contendibilita’ del controllo, tema legato strettamente a quello dell’OPA. E’ mio convincimento che il nostro sistema economico si giovi di uno spostamento dell’equilibrio verso una maggiore contendibilita’, anche per compensare antiche e radicate rigidita’. Per questa ragione sostengo doversi alzare la soglia per l’OPA obbligatoria totalitaria al 45, o almeno al 40%, e sono decisamente contrario a che l’OPA preventiva al 50% esima dalla succesiva totalitaria.
E’ praticamente caduta l’ipotesi di abbassare al 15% la soglia dell’OPA totalitaria obbligatoria per le societa’ a larga base azionaria: la sua onerosita’ avrebbe reso non contendibile il controllo.
Il limite forse piu’ grave che ho riscontrato nel dibattito ampio e a piu’ voci incardinato sul progetto Draghi e’ stato quello di aver trascurato di sottolineare il peso che nella realta’ italiana continua ad esercitare la diretta presenza pubblica. Cio’ induce ad allargare il discorso ad una contraddizione di fondo del processo di privatizzazione: non dobbiamo dimenticare che le grandi privatizzazioni si sono fatte con modalita’ che mettono pesanti ipoteche sul futuro. Si doveva invece lasciare che fosse la concorrenza sul mercato del prodotto a ricomporre i perimetri aziendali, e la competizione per il controllo a definire gli assetti proprietari. Cosi’ e’ stato per ENI e Telecom.
Ci resta ancora l’Enel: bisogna affermare con vigore che li’ non e’ consentito ripercorrere gli stessi sentieri.

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